Recensione: Anotheround
“Anotheround” è il titolo del secondo full-length dei roveretani National Suicide, che segue, dopo oltre sette anni, il buon album d’esordio “The Old Family Is Still Alive”.
Il combo propone un sano, inconfondibile, genuino ed energico Thrash Metal di provenienza Bay-Area senza fronzoli e contaminazioni di sorta, così com’era suonato più di trent’anni fa, aggiungendo quel tocco di modernità e di stile proprio che, evitando di far cadere l’album nel nostalgico, lo rende attuale ed al passo con i tempi. Ben inserito, quindi, nel presente contesto storico che chiama a gran voce il ritorno alle sonorità cosiddette “Old School” delle quali sono state artefici band come Anthrax, Testament, Exodus ed Overkill.
Il disco è caratterizzato dalle energiche sezioni ritmiche tenute in prima linea dalla coppia Anthony “Vender” Dantone (batteria) ed Ivan Andreolli (basso). Queste accompagnano potenti riff, refrain che entrano immediatamente nella testa e granitici assoli di chitarra suonati abilmente dalle due “asce” Tiziano “Tiz” Campagna e Daniele Valle. Il tutto magistralmente amalgamato dalla voce arrabbiata, graffiante e sfacciata di Stefano Mini, la risposta italiana a Bobby “Blitz” Ellsworth degli Overkill e Steve “Zetro” Souza degli Exodus, con i quali regge benissimo il confronto.
L’album è composto da nove tracce, per una durata totale di poco inferiore ai trentacinque minuti.
L’andamento del disco è subito messo in chiaro dall’opener “No Shot no Dead”, brano velocissimo ed incisivo caratterizzato da un uso altalenante delle twin guitar.
Anche le successive “I Refuse to Cry” e “Scene of the Crime” si mantengono sugli stessi livelli, dimostrando che il combo non ha limiti nel comporre e nell’arrangiare, riuscendo a destreggiarsi bene tra i vari cambi di tempo che, anche nei momenti più cadenzati, non perdono mai d’incisività.
Una menzione particolare la merita la Title Track “Anotheround”, vera evoluzione del Thrash Metal “Old School” che dice qualcosa di nuovo pur rispettando il passato. L’introduzione (l’inizio di un inseguimento dopo una rapina), la chitarra che imita la sirena della polizia, l’energia esplosiva del cantato, i refrain arrabbiati espressi all’interno di un tempo incalzante anche se non velocissimo mi hanno fatto rivivere le stesse sensazioni di quando ascoltai per la prima volta “The Plague” dei Nuclear Assault, brano del 1987 fuori dai tipici schemi Thrash-Core di John Connelly e soci.
Alla faccia di chi dice che il Thrah Metal è limitato …………………
I National Suicide sono quindi ottimi musicisti, come dimostra “What the Fuck Is Going’ On?”, brano che ricorda i primi lavori dei Megadeth nel quale la band esprime tutta la propria tecnica attraverso le ampie parti musicali senza però cadere nel virtuosismo fine a se stesso.
Conclude il disco la coinvolgente e veloce “I Have No Fear”, brano reso vivace ed energico da un selvaggio duello a suon di “asce” e da un cantato graffiante e prepotente che inchioda chi ascolta alla parete.
Un album più che buono, che porta il combo non sulle vette alto-altesine, ma direttamente sulla strada per arrivare alla cima del Thrash Metal a fianco dei grandi, dimostrando ancora una volta che l’Italia in questo genere non è seconda a nessuno.
Neanche la breve durata è un difetto. Dopo più ascolti ci si rende conto che ogni singolo brano è completo e che al disco non manca niente; al contrario la concentrazione compositiva evita momenti di stasi o di noia.
Pregevole la cover, il cui logo e disegno, in chiaro stile “eighties”, riflettono il messaggio trasmesso dalla band.
Non resta che fare i migliori complimenti ai National Suicide ed aspettare cosa ci riserveranno nel prossimo futuro.