Recensione: ANR
Arrivano da Milano, gli Anewrage, e propongono un intrigante mix di melodic metalcore, alternative metal e tendenze progressive in grado di definire uno stile assolutamente peculiare.
Un primo termine di paragone per definire il sound della band meneghina potrebbero essere i conterranei Destrage; eppure, ad un più attento ascolto, le similitudini con la band capitanata da Paolo Colavolpe si fermano in realtà ad una visione eclettica e contaminata di tutto ciò che è rock e metal più che a un effettiva convergenza in termini sonori.
Rispetto a quanto proposto dai Destrage, la musica degli Anewrage è più morbida e melodica ma altrettanto ricercata in termini di ritmiche e varietà di influenze. Le chitarre di Axel Capurro e Manuel Sanfilippo, ben sorrette da una sezione ritmica mai banale, non si lasciano mancare praticamente nulla andando ad arricchire il tipico riffing teso e spezzettato di estrazione mathcore/progressive con notevoli inserti di matrice talora funk (come in “Red Wet Lips”), jazz (“Nerveball”) o più prosaicamente rock.
Tutto bello e ben suonato ma reso ancor più personale e, in definitiva, migliore dal particolarissimo stile di canto di Axel Capurro, spesso e (apparentemente) volentieri sul filo della stonatura eppure in grado di tirar fuori linee melodiche varie – all’occorenza anche in growl, come nella violenta “Rotten” – molto ben congegnate e in grado di fare la differenza. È il caso delle ottime “Ape’s Legacy” e “Eyes Of Broken Man”, forse le migliori in scaletta, della rockeggiante “Veins Swell And Heart Beats Faster” e della djenty “No More”. Non sono da meno, ad ogni modo, le conclusive “Still-Dont’-Know”, “My Land” e “Frozen Light”, gli ultimi sospiri di un album vivo e vitale, a tratti irruento ma già maturo e tutt’altro che scoordinato o privo di carattere.
Una bella sorpresa da parte di una band giovane e di grande talento che va ad arricchire ulteriormente il già prestigioso roster del capoluogo lombardo.
Stefano Burini