Recensione: Anthropocentric
I The Ocean (Collective) sono una di quelle band che non si possono ascoltare alla leggera. O meglio, con le loro sperimentazioni strumentali e ambient sono un ottimo sottofondo musicale se si è impegnati in altro; tuttavia per comprendere appieno lo stile e il messaggio bisogna porre un minimo di attenzione.
Questi ragazzi tedeschi si definiscono un collettivo perché non hanno mai realmente avuto una line-up stabile e nel corso del tempo sono stati in molti gli artisti che hanno collaborato al progetto. Progetto che dal 2001 produce opere musicali – molte delle quali divise in due parti – incentrate tutte sulla scienza e la cultura: basta gettare uno sguardo per trovare infatti “Aeolian”, “Precambrian” o i più recenti “Phanerozoic”.
Questo “Anthropocentric” non fa eccezione: è il secondo di due volumi editi nel 2010, preceduto da “Heliocentric”. Entrambe i dischi si presentano come una critica alla religione cattolica, il primo concentrandosi sul rapporto di questa con la scoperta del sistema eliocentrico, il secondo sulle teorie creazioniste.
La prima traccia, omonima, parte subito aggressiva con un bel growl, dando appunto l’impressione che non sia un inizio ma una continuazione. ‘Anthropocentric’ è un brano prog di oltre nove minuti dove la band alterna hardcore-metal a melodie più morbide e orecchiabili, con chitarre classiche e voce pulita. Queste sono oscillazioni che ritroveremo spesso nel corso dell’album, anche nella successiva ‘The Grand Inquisitor I: Karamazov Baseness’ per esempio.
Più generalmente parlando, quasi tutti i pezzi dell’album bilanciano momenti più prettamente metal ad altri dal sapore quasi commerciale. Tra questi spiccano ‘She Was The Universe’ e ‘Heaven TV’, quest’ultima che non stonerebbe affatto come singolo di punta se l’album uscisse oggi. Importante sottolineare come ‘commerciale’ non significhi ‘di bassa qualità’, anzi, è tutto il contrario; solo, stupisce un po’ come un gruppo relativamente di nicchia e con un concept così complesso alle spalle decida di optare per determinate sonorità.
Come già detto i The Ocean sono una band che ama sperimentare, e il brano più sperimentale di tutti e sicuramente ‘The Grand Inquisitor III: A Tiny Grain of Faith’. Questo intermezzo è un punto interrogativo all’interno del disco: sintetizzatori, suoni distorti, violini, e la candida voce femminile di Sheila Aguinaldo. È un pezzo piacevole da ascoltare, interessante, molto berlinese nelle influenze techno e in linea con lo spirito della band, ma non c’entra assolutamente nulla con tutto il resto dell’album e in definitiva stona.
Sono invece più coerenti i brani di ispirazione ambient, come per esempio ‘For He That Wavereth…’ e la bellissima ‘The Almightiness Contradiction’. Questa, che chiude su un violino malinconico e riassume il fulcro dell’intera opera con le parole “There’s no one here who knows it all/ There’s nothing there beyond the world we know/ There’s no one here who knows it all/ Is there something there beyond the world we know?”.
Per 50 minuti “Anthropocentric” scivola fluido da un pezzo all’altro come se fosse un unico, lungo brano progressive. Non tutti i pezzi attirano l’attenzione come dovrebbero, alcuni si confondono nel flusso perché troppo simili tra di loro, ma l’effetto finale è sicuramente d’impatto. È un’opera che suona arrabbiata, evocativa e talvolta anche eterea, come è anche giusto che sia quando si parla di temi come questo.