Recensione: Äpäre
Immagino di non essere stato il solo ad aver pensato “ecco Itse volume 4” quando ho visto sugli scaffali dei negozi l’agonizzante copertina di Äpäre. Pur essendo un fan degli Ajattara da lungo tempo, ritengo sia una forzatura non ammettere che i loro dischi siano abbastanza omogenei, per non dire uguali a sé stessi. Certo è che il genere di musica da loro suonato non fa della varietà uno dei suoi punti di forza, anzi, il “dark metal” – come amano chiamarlo – basa sull’ossessionante ripetizione dei riff e sulle tastiere apocalittiche il sinistro appeal che continua a irretire ascoltatori uscita dopo uscita.
Itse, Kuolema, Tyhjyys, tutta la sequenza degli album degli Ajattara rappresenta l’avanzata massiccia di un organismo a cui non interessa cambiare, anzi gode nel riproporre costantemente temi musicali ricorrenti uniti a testi spesso poetici e fuori dai normali canoni del metal.
E la cosa fa sorridere se si pensa che il mastermind, Pasi Koskinen, proviene proprio da una band come gli Amorphis che invece ha come punto di forza proprio l’eclettismo e la profonda diversità tra le canzoni in ogni singolo album.
Ma nell’ultimo periodo Amorphis evidentemente Koskinen aveva altro in mente, e non è un mistero il fatto che gli Ajattara rappresentino i suoi gusti in maniera più completa e appagante. Così, un paio d’anni dopo il buon Tyhjyys arriva Äpäre (=”bastardo”).
L’aspetto esteriore è il classico Ajattara: costoletta in gotico capitale, copertina monocromatica, libretto funzionale e canzoni dai titoli netti e diretti. Un nuovo Itse? Oppure, nella fortuna, un nuovo Kuolema?
Niente di tutto questo. Mr. Koskinen ci spiazza regalandoci un album ricco di emozioni, il primo album in cui le canzoni tanto varie e intriganti da poterle riconoscere in maniera distinta. Superata la confusione dei primi tre album quindi è arrivata la maturità, un po’ artistica e un po’ commerciale, anche per il trio finlandese.
L’album si apre con i migliori auspici: tastiere grondanti sangue, tragiche, chitarre con un profondo suono a metà tra il black e il doom, e lo screaming maligno di un Ruoja in grande spolvero ci riportano negli oscuri vortici maledetti del metal più dark e oppressivo della sottile tradizione estrema finlandese.
Per quanto apocalittici, gli schemi melodici rimangono sempre sostenuti grazie a un mid-tempo heavy, a tratti decisamente heavy, che non concede una morte tranquilla ma al contrario trascina l’ascoltatore lungo tutte le tracce fino alla conclusiva, “Syntyni“, che conclude la marcia dell’orrore con un aereo che decolla e un’auto che si schianta contro un muro tra il sordo strìdere dei freni.
Ogni canzone brilla più o meno di luce propria: si passa dalla semi-industrial “Säälin Koira“, ottimamente strutturata nei passaggi rumorosi tra strofa e refrain, all’incalzante “Lautuma“, ipnotica e spiritata come un cimitero transilvano, passando per la quasi epica “Hirsipuulintu“, dalle sonorità quasi Moonsorrow.
Nonostante la sua breve durata, ormai marchio di fabbrica degli Ajattara, il disco riesce a farsi strada in maniera più convincente degli altri tre, tra sentieri sempre più immersi nella nebbia e circondati da fantasmi e creature spaventose. Un album per le notti tempestose, o per i chiari di luna immersi in un bosco.
L’horror dark metal è realtà, una realtà nobile e di grande gusto artistico. Chiaramente un disco non per tutti, e una prova di giudizio molto importante per chi ha già nel cuore questa band. L’errore di liquidarlo come l’ennesimo clone di Itse probabilmente sarebbe il torto più grave per una band che, a sorpresa, ha conferito al proprio lavoro tanta freschezza quanta basta per ridestare persino il dark metaller più assopito.
TRACKLIST:
01. Hurmasta
02. Raato
03. Säälin Koira
04. Lautuma
05. Eksyneet
06. Hirsipuulintu
07. Tahtomattaan Syntynyt
08. Itse
09. Koito
10. Syntyni