Recensione: Aphotik
Secondo full-length in carriera per gli Psychotomy, trio nostrano misto, nel senso che due componenti su tre sono di sesso femminile. Un’osservazione che, ormai, non ha più ragione di esistere neppure nel metal, dato l’assoluto livello tecnico/artistico raggiunto dalle donne (p.e.: Nervosa), pari se non a volte superiore a quello degli uomini (p.e.: Nita Strauss).
Peraltro, in più, i Nostri hanno compiuto un percorso evolutivo, se così si può dire, tutto loro, che li ha portati dai primi vagiti con il debut-EP “Transcend the Absolution” (2012), passando per le indecisioni adolescenziali del debut-album “Antimonia” (2015), all’acquisizione di un linguaggio maturo e adulto con il secondo lavoro di lunga durata, “Aphotik”.
“Aphotik” rappresenta, inoltre, il definitivo passaggio dal thrash, genere preminentemente natio, al death. Death classico, da non confondere con la vecchia scuola, imperniato su un sound pieno e profondo, carnoso e potente. Certo, le derivazioni dei sottogeneri che il death stesso dà adito di esistere qui mancano, e ciò è una delle caratteristiche peculiari dello stile del combo veneto.
Imprescindibile l’utilizzo di due chitarre – assolutamente necessario, a parere di chi scrive – , per elaborare un suono erculeo, possente e devastante. L’impatto determinato dal riffing delle due asce da guerra (mulinate da L.D.R. e da I.B.) è difatti tremendo e trova sponda nel drumming violentissimo di M.V., spesso sconfinante nei territori della follia, cioè nel regno dei blast-beats. L’arsa e riarsa ugola dello stesso L.D.R., inoltre, produce un growling non eccessivo ma comunque stentoreo e allucinato, perfetto per la foggia di musica suonata.
Numerosi i cambi di tempo, tali da rendere “Aphotik” un disco per nulla facile da digerire: gli anni non sono passati invano, per i componenti l’ensemble tricolore i quali, a poco a poco, hanno acquisto abilità tecniche di tutto rispetto nonché un’ottima capacità di rendere vivo un suono che, al contrario, dovrebbe essere… morto. Questo ultimo aspetto, nondimeno, è soddisfatto da un mood cupo, tenebroso, che segna pesantemente l’atmosfera del platter. Atmosfera che prende vita in maniera spontanea, indirizzando chi ascolta verso terre sterili sovrastate da cieli grigi anzi quasi neri; ove si può immaginare di scorgere il lento trascinarsi delle anime dannate, espulse da questo mondo per circolare negli abissi della disperazione.
Un pregio non da poco, questo, poiché fa sì che lo stile degli Psychotomy sia riconoscibile con una certa facilità. Death metal pesante e oppressivo, sì pesante da premere con forza inesorabile la gabbia toracica. Inflessibile e coerente con se stesso in ogni occasione con che, sviluppando nove song ottenebrate dal medesimo umore depresso, in grado di seguire con costanza lo stesso filo conduttore, la stessa trama. I quali trasportano gli appassionati in una sorta di limbo ove si resta intrappolati dalla gravosità di brani fra i quali spicca, per esempio, l’ottimo up-tempo di ‘Blood Red Kvlt’ o anche l’incipit doomoso di ‘Ascent Through Malevolence’.
A proposito delle canzoni, se da un lato manifestano univocamente la personalità degli Psychotomy, dall’altro mostrano delle caratteristiche un po’ troppo simili fra loro. Il songwriting, ottimo a creare una tipologia musicale pressoché unica, mostra leggermente la corda quando si tratta di trovare idee e soluzioni per diversificare l’insieme dei pezzi.
Date le premesse, però, non si può che migliorare.
Daniele “dani66” D’Adamo