Recensione: Aquarius
Il primo disco degli Haken è un centro quasi perfetto. Si tratta di un progetto nato nel 2007 in Gran Bretagna che, dopo un demo e vari cambiamenti di formazione, pubblica il suo album di esordio.
Nonostante lunghe e articolate divagazioni strumentali, ogni canzone di questo disco possiede una forte personalità che la contraddistingue, coadiuvata da linee vocali sempre azzeccate e di gran gusto e ritornelli melodici sempre in primo piano. Il risultato finale è un equilibrio tra linearità e solidità incastonati in un’architettura tipicamente progressive. Ogni brano, per lunghezza e struttura, potrebbe benissimo essere una baldanzosa suite come quelle che vanno tanto di “moda” nei dischi progressive di oggi ma, nonostante la lunghezza, la noia non prende quasi mai il sopravvento e l’ascolto risulta sempre piacevole e divertente.
Già dalla canzone di apertura The Point Of No Return gli Haken mettono in mostra tutta la loro fantasia, presentando una traccia che porta già con sé tutte le caratteristiche di questo Aquarius: ampio spazio alle melodie ariose e una sorprendente parte strumentale piena di trasformazioni imprevedibili. L’unica nota stonata è l’inserimento di un cantato growl che, seppur breve, appare un po’ forzato nel momento in cui sbriciola l’atmosfera creata dalla melodia. Lo stesso difetto fa capolino anche nell’ottimo brano successivo Stream, il quale mantiene le caratteristiche della canzone di apertura offrendo però un ritornello ancora migliore. Il tutto si trasforma poi nella parte centrale offrendo all’ascoltatore un’atmosfera oscura e decadente e forse, anche in questo caso, si poteva fare a meno di questo growl troppo funebre. Fortunatamente nelle canzoni che seguiranno non se ne troverà più traccia.
Anche nelle successive Aquarium ed Eternal Rain, nonostante il loro minutaggio importante, la noia è assente grazie al mood dei brani in continuo mutamento, senza però mai perdere il filo conduttore principale della canzone. Con Drowling In The Floor il ritmo si fa più frizzante, frenato solo dal ritornello anche questa volta riuscito, per poi riprendere con l’energia di sempre. Qui è doveroso soffermarsi per descrivere l’altro piccolo difetto del disco, che per alcuni potrebbe essere un pregio: nonostante tutti i ritornelli siano riusciti e bastino pochissimi ascolti per catturare l’attenzione dell’ascoltatore, la loro ariosità che rallenta in qualche modo l’incedere del brano, trasmette con il crescere degli ascolti un certo senso di ripetitività. Forse in alcuni casi, ai brani avrebbe giovato una maggiore dinamicità.
La traccia di chiusura di Aquarius è Celestial Elixir, forse la migliore dell’album, e appare come un riassunto che contiene tutte le emozioni migliori offerte dalle canzoni precedenti. Lo introduce una lunga partitura strumentale di gran gusto come ormai la band ci ha abituato, per poi proseguire con un cantato malinconico in crescendo. Un altro stacco strumentale cambia completamente il colore della canzone, rendendola così vivace da sembrare uscita da un cartone animato. Il brano si conclude riproponendo in maniera ancora più meditativa il ritornello di Stream, che perfettamente si collega creando una conclusione molto magica e suggestiva.
Questo è un disco da provare.
Gabriele “Xan” Pintaudi
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Tracklist:
1. The Point of No Return
2. Streams
3. Aquarium
4. Eternal Rain
5. Drowning In the Flood
6. Sun
7. Celestial Elixir
Lineup:
Ross Jennings – Vocals
Richard Henshall – Guitar & Keyboards
Charles Griffiths – Guitars
Thomas MacLean – Bass
Raymond Hearne – Drums
Diego Tejeida – Keyboards