Recensione: Aquileia Mater Aeterna
I Gates of Doom sono una band che propone un death metal melodico, che attinge alla scena scandinava, ma con chiari riferimenti alla nostra storia e tradizione. Nel 2018 Forvum Ivlii li ha portati alla ribalta e questo nuovo lavoro è sicuramente un momento importante nella loro carriera, perché è l’occasione per il grande salto.
Il concept dell’album ruota attorno alla città di Aquileia, ovvero una colonia fondata nel 181 a.C. come base militare per poter fronteggiare l’invasione dei barbari che minacciavano i confini orientali dell’Impero romano, e che è stata testimone di numerosi eventi storici: dall’epidemia di peste, agli assedi di Quadi, Marcomanni e Massimino il Trace, passando attraverso l’opera di evangelizzazione di San Marco e la distruzione da parte di Attila. Una storia gloriosa e ricca di eventi, per una delle città più importanti e grandi dell’impero; l’epicità – tratto distintivo della musica dei Gates of Doom – si carpisce già dal pregevole artwork del talentuoso pittore Sebastian Salvo, che riesce ad impressionare con forme e colori l’animo del lavoro: una violenta battaglia con scene dettagliate dello scontro, in cui i colori scuri, tetri e polverosi, fanno pensare che il luogo dove tutto si svolge, sia proprio l’Inferno.
Partiamo subito con il riconoscere uno dei grandi meriti di questa band, ovvero quello di coniugare un fenomeno tipicamente scandinavo alla grande e meravigliosa storia di Roma. Già perché lo sciamanesimo scandinavo ha giocato indubbiamente un ruolo fondamentale nello sviluppo tanto del death quanto del black metal e, soprattutto all’inizio, ha quasi circoscritto esclusivamente a quell’area geografica lo stesso movimento. Ma, se si parla di paganesimo, aspetto fondamentale delle due scene, storicamente parlando, il nostro paese non è secondo a nessuno: già, perché proprio il sistema di credenze dell’antica Roma, è stato il primo ad essere smantellato dal cristianesimo, e proprio a Roma ci sono numerose chiese sorte laddove prima c’erano dei templi. Quindi, perché esitare ancora? Perché cercare di rincorrere stereotipi quando la nostra gloriosa storia offre spunti interessanti di sviluppo della scena? Poi, però, c’è anche la musica e ciò che balza subito all’occhio è che rispetto a Forvum Ivlii, questo è un album con il doppio del minutaggio, quindi un ulteriore banco di prova per le capacità della band. E bisogna dire che la proposta dei Gates of Doom è davvero pregevole: un’armonia diffusa e granitica, un lavoro di produzione davvero eccezionale, e soprattutto monolitico. Si parte da un concetto di base che è il death melodico di stampo scandinavo “contaminato” da elementi black, con suoni sapientemente calibrati e riff che talvolta tendono all’heavy, possenti quanto epici, e che arricchiscono la struttura del disco. I momenti più alti di Aquileia Mater Aeterna sono I, the Eagle, The Strenght, The Power , The Galenus Plague e Attila Flagellum Dei dove il gruppo esprime tutto il suo grande potenziale compositivo; ma dovendo cercare il pelo nell’uovo, forse, il quartetto, avrebbe potuto osare di più e variegare l’offerta musicale proponendo qualcosa che si potesse discostare di più dal leitmotiv che caratterizza questo full lenght.
Bravi, Gates of Doom. Anche perché con questo Aquileia Mater Aeterna avete dimostrato che la musica può essere un efficace modo per far conoscere la nostra storia al mondo, ed in senso più ampio, che la musica può essere un efficace modo per divulgare la cultura.
Consigliato a chi ama ascoltare musica non solo con le orecchie, ma con la testa.