Recensione: Araba Fenice
Formazione di discreto talento e potenzialità, i mantovani Sutuana si riaffacciano sulle scene nostrane dopo un periodo decisamente difficile e problematico, culminato con l’incendio doloso della sala prove di cui il gruppo è stato vittima alcuni mesi addietro.
“Araba Fenice”, seguito dell’interessante “Perdutamente” del 2009, si presenta come la manifestazione diretta di stati d’animo derivati da sentimenti di rabbia e frustrazione, emozioni che a partire dall’eloquente titolo (la figura mitologica dell’Araba Fenice è tradizionalmente simbolo di resurrezione proprio dalle ceneri), sino a coinvolgere i testi di ogni brano, vengono rappresentati in una sorta di catarsi salvifica e liberatoria.
C’eravamo lasciati, nel recensire il precedente capitolo, con la descrizione di un ensemble liricamente mordace e dotato di notevoli capacità strumentali. Ma soprattutto, avevamo indicato i Sutuana come una band in “progressione” che, dopo un disastroso demo iniziale ed un corposo full length in cui riconoscere cose buone, era attesa da qualche svolta più o meno definitiva, indicata nell’esaltare in modo finalmente compiuto la particolare formula concepita dal quartetto, in cui ironia, spessore tecnico e l’uso preferenziale della lingua italiana, costituivano i cardini fondamentali.
Tuttavia, complice un po’ l’incertezza maturata dopo gli avvenimenti nefasti e merito forse in parte pure di una crescita artistica non ancora giunta a pieno compimento, il proverbiale salto di qualità purtroppo non sembra essersi concretizzato, rimandando ad altri tempi il termine dell’opera di sviluppo di un progetto dalle basi comunque importanti.
“Araba Fenice” è, infatti, un disco dall’anima disturbata e contraddittoria, instabile, rancoroso ed in buona parte scevro da quella vena giocosa che avevamo apprezzato in precedenza. Come appare evidente, ai quattro musicisti la voglia di scherzare è andata un po’ scemando, per lasciare il posto ad un’impostazione meno irriverente che si riflette nei titoli stessi dei brani, ulteriore testimonianza di una certa seriosità di fondo ampliatasi in modo inevitabile.
C’è meno divertimento insomma, ed i Sutuana ne hanno ben donde, come ovvio. L’impressione ciò nonostante è che, con il lato goliardico del gruppo – manifesto di brani assurdamente fantasiosi come accaduto in precedenza, ad esempio, con l’allucinante “Mandami Una Cartolina” – se ne vada anche un pelo di brillantezza, lasciando sul piatto un composto a tratti incolore ed impersonale, privo di uno degli elementi sinora più riconoscibili nella proposta del quartetto lombardo.
Permane sempre la notevole maestria tecnica, patrimonio messo in mostra un po’ ovunque nel corso di “Araba Fenice” ma, pure dal punto di vista strettamente “formale” e compositivo, qualche appunto è necessario.
Come già accaduto con il predecessore, anche in questa nuova release va messa in inventario un’evidente discontinuità nel songwriting, foriero talvolta di risultati incoraggianti, altre volte, promotore d’episodi tutt’altro che degni di nota o memorabili. Se quindi, all’ascolto di un nucleo di pezzi come “System Failure”, “Fuoco”, “Marcio Funebre” e “Tradito”, l’idea è quella di un complesso roccioso e preparato, capace di destreggiarsi tra riferimenti all’heavy rock settantiano dei Sabbath, frammisti con spunti alla Van Halen ed accenti dal sapore alternative, allo stesso modo le sensazioni mutuate in altri frangenti appaiono poco incisive ed un minimo insapori, vagamente assimilabili ad un pop rock da italica hit parade che non produce grossi sussulti ed emozioni, ma anzi, può apparire persino un pelo noioso.
Chiamare in causa i soliti Ligabue, Timoria e Litfiba (artisti comunque rispettabilissimi) potrebbe essere esercizio in parte fuori luogo, ma aiuta nel rendere più concreta l’idea di quanto si stia cercando di descrivere.
Da rivedere infine la produzione, altro punto debole del disco. Accettabile nella sostanza, non si discosta più di tanto da quanto riferibile per una “onesta” quanto inconsistente autoproduzione messa in campo da una qualsiasi band alle prime armi.
“Araba Fenice” conferma in buona sostanza, quanto espresso in occasione del precedente album dei mantovani, lasciandone invariate tutte le possibilità di crescita ed evoluzione in un futuro ancora da costruire in larga parte.
Interpretabile come una sorta di “segnale” da fornire prima di tutto a se stessi, il nuovo disco dei Sutuana non promette, insomma, nulla di troppo significativo ma è, in ogni modo, da considerarsi un’uscita dignitosa e discretamente valida. Senza ombra di dubbio, un motivo di profondo rispetto per chi, avversato da avvenimenti contrari e devastanti, non si è perso d’animo e senza abbattersi, ha comunque cercato di riannodare il filo di un discorso altrimenti destinato a bruciare e svanire come cenere al vento.
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Tracklist:
01. ArdenteMente
02. Senza Identità
03. Crescere
04. Distante
05. Libera
06. Sogni
07. System Failure
08. Sleaze
09. Fuoco
10. Follia
11. Tradito
12. Marcio Funebre
Line Up:
Lorenzo Zagni – Chitarra / Cori
Marco Nicoli – Basso / Synth
Diego Boschini – Voce / Cori
Gianluca Montanari – Batteria