Recensione: Arca Progjet
Arca Progjet, sia dal moniker che dal logo – che rimanda a quello degli Asia – è per l’appunto un progetto allestito all’ombra della Mole Antonelliana dal drummer Alex Jorio e dal bassista/tastierista Gregorio Verdun, che guarda dritto negli occhi al Prog Rock, in un po’ tutte le sue declinazioni e sfumature. Ci vuole sensibilità per allestire una cosa del genere e il bombardiere degli Elektradrive, da questo punto di vista, ne ha da vendere. Esiste una storia, là fuori, che parla da sola. Una storia che ha consegnato perle di hard rock indimenticabili che vanno oltre i patri confini. Basti citare Due, Big City e Living 4, punto!
Arca Progjet è anche il titolo dell’album omonimo di una band che, oltre al duo sopraccitato, schiera il cantante Sergio Toya, il chitarrista Carlo Maccaferri e Filippo Dagasso alla tastiera. Il prodotto è licenziato sul mercato dalla Jolly Roger Records, label modenese che da sempre ha fatto dell’oculatezza delle sue uscite e della qualità delle stesse il proprio obiettivo primario, a livello di linea editoriale e d’azione. Non a caso, nonostante gli attuali periodi di magra, magrissima, l’etichetta è ancora in piedi, viva e vegeta…
Il cd si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi degli undici pezzi in esso contenuti, poi la classica foto di rito del gruppo e le note tecniche indispensabili per inquadrare il prodotto stesso nonché le varie singole canzoni. L’equipaggio Arca Progjet, infatti, non si esaurisce con i cinque componenti di cui sopra, a bordo vi sono anche, occasionalmente, personaggioni quali Mauro Pagani (Violino, Premiata Forneria Marconi e Fabrizio De Andrè, solo per citarne due), Gigi Venegoni (chitarra, Arti e Mestieri), Arturo Vitale (Sassofono, Arti e Mestieri) e Matteo Morelli (flauto).
Il codesto mix di influenze, esperienze e culture non delude le attese che giocoforza si porta sul groppone, vista la caratura dei musicisti coinvolti.
Cantato interamente in italiano, Arca Progjet stuzzica in maniera assolutamente naturale antichi nervi rimasti perennemente scoperti sin dagli anni Settanta, vittime – si fa per dire – di compagini quali Pfm, Banco, Biglietto Per L’Inferno, solo per citarne tre. La forza del lavoro nato dalle menti di Jorio e Verdun risiede però nella varietà della proposta: tanto Prog Rock ma anche aperture al jazz, all’hard rock, all’Aor senza farsi mancare qualche ammiccamento al Pop da classifica. A irrobustire la “botta” che giunge copiosa alle casse è poi una produzione possente, curata dallo stesso Filippo Dagasso insieme con gli altri Arca, altamente valorizzante i singoli strumenti, che manderà in brodo di giuggiole anche gli ascoltatori dal palato forte, che sono poi la maggioranza di coloro che si cibano di questa pagine web a sfondo nero.
Gli Arca Progjet “martellano” che è un piacere – certo non con la veemenza dei Paragon, tanto per citare dei “pestoni” matricolati facenti capo ad altro genere – ma è tanto per rendere l’idea, ça va sans dire, facendo onore a un passato fatto di varie esperienze singole che oltre alla melodia ha saputo fornire dosi generose anche di potenza, sebbene sempre con quella punta di classe che solo pochi sanno conferire. Ulteriore riprova del loro “tiro” alive si è avuta il 21 aprile di quest’anno fra le mura dell’Arcitom di Mantova in occasione dell’Acciaio Italiano Festival 8.
Lungo il fil rouge ammantato di Progressive che lega fra loro le undici tracce grandi sussulti di godimento provocano le stazioni numero 1 “Arca”, 2 “Metà Morfosi” molto vicina ai Pooh nel loro dignitoso periodo Progressive così come “Delta Randevouz”, traccia numero 8. Qualche perplessità desta “Requiend” ed il capolinea è segnato da “Aqua”.
Già… “Aqua”… proprio vero che la classe non è acqua, nel caso dell’Arca griffata Jorio/Verdun…
Stefano “Steven Rich” Ricetti