Recensione: Archetype
Il ritorno della fabbrica della paura avviene tramite questo cd in versione digipak limitata con dvd incluso (previo lieve sovrapprezzo si intende). La prima cosa da svelare è: chi c’è al posto di Dino “eight ball” Cazares? Beh, lo sostituisce degnamente il bassista, cioè Christian Olde Wolbergs. Ma ora vi chiederete chi c’è al basso… presto detto: Byron Stroud (conosciuto già come bassista degli Strapping Young Lad); diciamo che gli unici punti fermi del combo americano rimangono Burton C. Bell alla voce e il possente Raimond Herrera dietro le pelli.
Comincio brevemente a dare un’idea di quello che è il dvd, prima di passare ad Archetype: in primo luogo troverete il video di “Cyberwaste“, che è il singolo del cd. Il video è ambientato in un complesso industriale della cittadina australiana di Perth, definita limite del mondo. Molto diretto come clip, nulla più che il gruppo che suona in mezzo a un folto gruppo di fans.
Dopo di che abbiamo il tour australiano e asiatico dei Fear Factory con Static X e Korn, preceduto però dalle riprese della registrazione di Archetype e da amenità (leggasi sagra dell’asinata e del delirio puro). Prima viene mostrata una perla tratta dal concerto di Seul dei soli Fear Factory, dopo di che si parte con la tappa australiana che ha come inizio la visione di Perth; segue ancora la sagra dell’inutile (leggasi festa in un locale, il chitarrista che va a farsi fare un nuovo tatuaggio e così via), il making of di “Cyberwaste” (con tanto di Bell che si mette a fare il graffittaro per inserire il simbolo del gruppo nel video) e infine alcune parti dei concerti australiani. Piccola polemica: c’è da notare come durante tutto il video non si veda nemmeno l’ombra di uno dei Korn, mentre gli Static X compaiono a più riprese nel dvd… che ci sia poca stima nei loro confronti? Ai posteri l’ardua sentenza.
Passiamo ora al cd: per quanto mi riguarda è un salto nel passato, canzoni che hanno tutta l’aria di essere uscite al tempo di Soul Of A New Machine con l’aggiunta però di un non so che di nuovo. In tutto il lavoro i quattro decidono di abbandonare le sonorità di Digimortal, non che di limitare al minimo le “intrusioni” di tastiere e loops, rendendo tutto il lavoro granitico e potente, questo già dall’opener “Slave labor“. Anche la seconda canzone, “Cyberwaste”, parrebbe liberamente ispirata dalle cavalcate chitarra-basso-batteria che si trovano su Demanufacture; ci sono passaggi che farebbero impallidire il più veloce dei batteristi black.
Canzone successiva, un altro pezzo deep in your face dal titolo “Act Of God“. L’intro ricorda vagamente sia Replica che Zero Signal, ma si trasforma in una canzone totalmente differente, violenta e massiccia, con tanto di stacco in voce pulita su ogni ritornello che non fa perdere di impatto, anzi, aumenta la carica per il verso successivo.
Quarta traccia “Drones“, anche questa piuttosto veloce: qui gli innesti con le tastiere si sentono molto di più che in altre tracce, il cantato passa da un rabbioso ad un pulito calmo. La quinta traccia è quella che dà il nome al cd, “Archetype“: si rifà molto al tipico Fear Factory-sound, ma ci aggiunge una componente in più, un nuovo stile compositivo che rende tutte le canzoni assolutamente innovative anche senza che si discostino troppo dal suono originale del gruppo.
“Corporated Cloning“, la successiva, violenta e dura come le altre: da notare sempre la combinata tra pulito e growls che da alle loro canzoni una “magia” tutta particolare. Settima canzone, “Bite The Hand That Bleeds“, si differenzia dalle altre per un solo particolare: è un mid tempo, con distorsioni forti e voce tra il pulito e l’agressivo, nonchè batteria potente. “Undercurrent” è un mix di quello che si è sentito fin ora, ovvero potenza e violenza sonora, mista a tempi rallentati e melodici. Nona canzone “Default Judgement“, strutturalmente concepita ed eseguita come le prime canzoni (sia del cd che del gruppo); unica variante il finale in pulito ripetuto più volte fino a dar spazio al riff iniziale. Subito di seguito c’è “Bonescraper“, anch’essa violenta e granitica come le altre, nella quale però il pulito ha lasciato il posto a growls e urla graffianti.
Terzultima canzone “Human Shields“: è la prima volta che sento una canzone così lenta fatta da loro, ma, sia ben chiaro, non stona assolutamente con tutto il resto; inoltre questa canzone sarebbe da considerare a tutti gli effetti la penultima, dato che “Ascension“, la dodicesima canzone, non è nient’altro che il finale della stessa messo in loop e deformato fino a renderla una “nuova” traccia in stile ambient, nella quale ci sono solo le tastiere e le sonorità liquide e melliflue che fanno da padrone.
L’ultima canzone, “School“, riprende quanto interrotto con l’undicesima canzone, di conseguenza doppia cassa a go go e distorsioni a tutto spiano.
Per concludere, un bellissimo ritorno, una dimostrazione che l’anima del gruppo non era solo il vecchio chitarrista al quale, in ogni caso, bisogna dare atto di tutto quanto ha fatto di buono nel gruppo: è anche grazie a lui se la fabbrica della paura è arrivata a questi livelli. Acquisto consigliato sia ai vecchi fans che a chi vuole avvicinarsi per la prima volta alla band.