Recensione: Argia
Nati nel 2006, i symphonic/goth metallers spagnoli Diabulus in Musica giungono alla terza release ufficiale con “Argia”; disco che segue il mediocre debut “Secrets” (2010) ed il concept album “The Wanderer” (2012). In questi anni la female-fronted band di Pamplona è cresciuta fino a giungere alla compiuta maturità artistica con questo disco, pubblicato per Napalm Records. “Argia” costituisce infatti un’evoluzione più personale, multiforme ed “intellettualmente onesta” di quanto proposto finora dal gruppo, capitanato dalla bella e brava Zuberoa Aznárez, interprete eclettica al microfono nonché alacre polistrumentista – sue sono infatti anche le parti di flauto ed arpa. I brani che compongono il lotto sono stati scritti proprio dalla cantante, assieme al tastierista Gorka Elso, protagonista delle sezioni in growl.
Il vero peccato originale di quest’album è stato quello di uscire ad aprile 2014 assieme a “The Human Contradiction” degli olandesi Delain (per la medesima etichetta!) e soprattutto al superlativo “The Quantum Enigma” degli Epica, finendo così occultato dal lungo cono d’ombra generato da queste due grosse release. Come se non bastasse, è ormai arcinoto che il panorama delle cosiddette “female-fronted symphonic metal bands” è talmente inflazionato che emergere risulta essere un’impresa sempre più ardua anche per le band più blasonate in combutta tra loro. Eppure, quasi in punta di piedi, con questo disco i Diabulus in Musica tratteggiano un percorso personale con dignità ed onestà.
“Argia” è un termine basco che significa “luminoso” o “chiaro”: di una chiarezza che si fa colonna portante dell’intero disco. Dopo un’intro dal sapore medievaleggiante con il requiem cantato di “Et Resurrexit (Libera Me)”, il dittico successivo composto da “From the Embers” ed il singolo “Inner Force” ricordano le sonorità degli Epica, tra cori, growl, ritornello pulito e melodico, riffoni e manto tastieroso. Ciò basterebbe per tacciare la band di scarsa originalità, eppure il disco si svela con una varietà di atmosfere davvero inedite nel repertorio della band.
Il cantato melodico e struggente in lingua spagnola di “Furia del Libertad” lascia il segno, anche grazie alla piacevole presenza di Ailyn Giménez (Sirenia); i cori sono di matrice power, così come la doppia cassa nel (bel) ritornello. Virata dal folk al symphonic in “Maitagarri”; nulla di inedito ma di certo strutturato e piacevole. Piccolo intermezzo con “Sed Diabolus”, un proemio con invocazione al diavolo prima di pestare duro in “Spoilt Vampire”, di nuovo con un growl ed una violenza ai limiti del thrash abbastanza convincente, con la batteria che praticamente s’invola, prima di prendersi una piccola pausa per poi tornare a metà della ballad “Eternal Breeze”.
Lecite contaminazioni contemporanee ed elettroniche in “Mechanical Ethos”, ma la vera perla è “Encounter at Chronos’ Maze”, un pezzo di natura fortemente operistica, impreziosito dalla presenza dello svedese Thomas Vikström (Therion, Stormwind), che ricorda un po’ la “Phantom of the Opera” dei Nightwish.
La qualità non ci abbandona fino all termine dell’ascolto, con un’estatica e paradisiaca “Indigo” seguita da un’ammiccante ed potente “Healing”, che trascina con lo stile angelico e diabolico col quale il disco ha aperto. Prima dell’outro “Horizons” per i titoli di coda, chiude il pezzo una citazione molto ricercata da un frammento del compositore italiano Pietro Antonio Cesti (1623 – 1669), tra l’altro autore di un’opera dal titolo “L’Argia”, rappresentata per celebrare la visita della regina Cristina di Svezia ad Innsbruck (si ringrazia Adam Kadmon per le preziose informazioni).
“Del mio cor l’aspre catene dure sono infrante
E le rigide mie pene che parevano infinite son finite
Oh pace, pace”
In sede di valutazione non si può negare un giusto riconoscimento all’onestà di questa band, che con “Argia” ci dona un disco di buona qualità, non ci certo eccellente o imprescindibile per il genere, ma che vanta come innegabili punti di forza la varietà di atmosfere e l’immediatezza, garantendo un ascolto molto piacevole per i fan del genere. Bastano infatti un paio d’ascolti per entrare nel mood del disco che si palesa in tutta la sua leggerezza fatta di brani ben caratterizzati, dalla durata limitata e dalla struttura semplice ma mai banale; senza abusi di sezioni orchestrali, cori polifonici, suite sterminate e quant’altro: i ragazzi hanno compreso come l’emulare pedissequamente le sonorità barocche degli Epica o le sezioni orchestrali e corali dei Nightwish, oltre ad essere un cammino periglioso, è sovente una sopravvalutazione delle proprie capacità al pentagramma che porta a risultati risibili, vedi l’ultimo “Sacrificium” degli Xandria. Il senso della misura è indice di maturità.
Un plauso va fatto anche alla talentuosa e carismatica Zuberoa, estremamente versatile dalle parti più leggere ed ammiccanti a quelle più prettamente operistiche; nota fortemente negativa, invece, alle povere sezioni di chitarra del nuovo entrato Alexey Kolygin, che definire minimalista appare come un orrendo eufemismo: riff inconsinstenti ripetuti ad oltranza e parte solista pressoché nulla.
Con “Argia” i Diabulus in Musica entrano nell’affollato Olimpo del proprio genere di appartenenza: forti di questa luminosità diabolica acquisita (e di un certo rilievo in Belgio al XII Metal Female Voices Festival), forse non finiranno più adombrati dalle altre divinità del metal sinfonico. ¡Hasta luego!
“Leading our path, head up high
With courage and passion, just you and I
Joy fills the clouds where muses roam
And smile while they hear our song…”
Luca “Montsteen” Montini