Recensione: Aria of Vernal Tombs

Di Tiziano Marasco - 23 Settembre 2015 - 13:23
Aria Of Vernal Tombs
Band: Obsequiae
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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80

Mi chiedo e mi domando da diversi anni ormai: “È davvero sì difficile trovare qualcheduno che fa black metal con piglio classico ma pure in grado di dare delle innovazioni? O, semplicemente a render detto black fresco, interessante, convincente? Insomma, a nascondere vera emozione dietro alla canonica depressione?” 

Pochi ci riescono. Fare del black classico che smuova l’attenzione infatti significa saperlo suonare da dio – o magari da Satana. Il che, cosa a dir poco strana, negli ultimi anni riesce a molti gruppi d’oltre oceano, gruppi che, probabilmente sdoganati dal successo di Agalloch e Nachtmystium, hanno cominciato ad approdare anche sulle coste del continente antico. Una miriade di gruppi post black, black progressive, black atmosferico, black quel che vi pare. Una miriade di gruppi che comunque ha iniziato a spuntare come funghi e a popolare il folto sottobosco dell’underground di quel Vinland che, sino ad una decina d’anni fa, non sembrava minimamente essere terra di conquista per il sound della Norvegia: Gallwbraid, Caladan Brood, Ashbringer ed ora anche gli Obsequiae.

20BSPROMO

Obsequiae che, a guardare la tracklist di Aria of Vernal Tombs, dove fan capolino dei titoli in spagnolo, potrebbero esser presi per californiani o quantomeno per un gruppo della Florida. Invece no, il presente terzetto con drum-machine al seguito viene dal Minnesota (ma vantano un arpista ispanico in una curiosa formazione da one-man-band cui si aggiungono saltuariamente altri due elementi). E col citato platter, del cui chilometrico titolo si disse in precedenza, sono giunti al secondo album, che segue di quattro anni il debut, dal titolo parimenti chilometrico, Suspended in the Brume of Eos.

L’incipit, una delicata strumentale, fatta da melodie all’arpa,  indica subito come i nostri non faccian il solito black, e rivelano da un lato influenze vagamente medievali. Simili stacchi d’arpa, molto suggestivi, brevi e rinfrescanti, ne troverete quattro lungo tutto il disco. Il resto è black. Brioso. Strano a dirsi ma assai brioso.

Aria of vernal tombs si snoda su un pugno di 7 canzoni e 4 interludi di durata breve e, in pieno stile black, tutte molto simili tra loro. Le tiene in piedi la strabiliante capacità alla sei corde di Tanner Anderson, artista sensibile che produce una serie incredibile di riff al contempo languidi, taglienti ed irresistibili, che fanno dell’album una sorta di organismo unico e pulsante che trasuda oscurità e decadenza. Difficile distinguere i pezzi, peraltro tutti estremamente raffinati, e qui sta il colpo da maestro. Perché gli Obsequiae costruiscono la loro formula su di un elemento che nel 98% dei casi risulta essere lo scoglio su cui i gruppettini black inevitabilmente si schiantano –  la monotonia. Il sound degli statunitensi risulta omogeneo, ma non noioso, dimesso, ma non ripetitivo, lento, eppure se si ascolta il disco un paio di volte di fila si viene presi da una strana forma di groove, sicché si giunge alla fine con un discreto entusiasmo in corpo, simile a quando si beve un litro di caffè.

Insomma, questo trio confeziona un piccolo gioiello, dal valore qualitativo altissimo, privo di fronzoli e voglia di strafare, ma neppure ancorato in maniera pedissequa al black canonico. Molto probabilmente il miglior disco di classic black dell’anno assieme ai Melechesh. Non tutti ci riescono. 

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