Recensione: Arkon
Sulle rovine dei Nuraghi simbolo della millenaria civiltà rurale sarda, raffigurati non a caso sulla cover dell’Ep Hypericum del 2022, si erge di nuovo ieratica l’oscura e maligna entità proveniente da Oristano a nome Arkon.
Completamente asservita al sacro culto del Sabba Nero, pur celebrando gli arcaici rituali ossianici della cultura rurale, vieppiù messa in evidenza dall’uso della lingua sarda, sviluppa un sound che pur partendo dal classic doom, si abbevera alla sulfurea fonte dell’heavy dark di Trouble, Angel Witch e Sarcofagus, non dimenticando la malvagia lezione del Paul Chain Violet Theatre di Detaching from Satan e Alkahest nonché l’altrettanto oscura lezione di Mario “The Black” Di Donato.
Se l’uso del latino dona a quest’ultima un’aurea sacrale quasi mistica nelle melodie, l’idioma sardo restituisce al sound degli Arkon una drammatica epicità di fondo che si esplica fin dall’iniziale “Sacrifitziu“, nella quale al riffing heavy dark di Italo Pitzalis si contrappone il salmodiare drammatico di Alberto Melis che si supera nell’interpretazione della seguente “Arkos” immolata sull’altare dei Sabbath, anche grazie alla magistrale digressione heavy doom che la impreziosisce prima che il tutto precipiti negli abissi fiammeggianti della psycotica “Intregadu” con Alberto ancora al proscenio intento a celebrare un arcano rituale pagano, che trova la sua nemesi nell’ancor psicotica “S’Erchitu“, purissimo e rantolante heavy doom sodomizzato dal deflagrante break centrale anche grazie alla tambureggiante sezione ritmica.
Magistrale il pesantissimo riffing di Italo che sorregge l’incedere possente della sabbathiana “Oclubaria” che trafitta da ficcanti solos guitars, funge da perfetto contraltare al funereo arpeggio di acoustic guitars che introduce la tenebrosa “S’Andada” che nel prosieguo assume le solenni connotazioni doomy dell’epica e drammatica “Hypericum” presto violentata dalla perversa accelerazione heavy dark che si spegne nell’epica e solenne melodia di “Inghirios” ancora e comunque squassata da tambureggianti breaks heavy dark.
Il forsennato drumming di Angelo e il terremotante basso di Giuseppe, costituiscono poi l’ossatura dell’ancora epicissima “Sinnos“, certo ispirata a Italo dallo spirito di mastro Iommi. Conclude un ottimo lavoro la sofferta e ancor salmodiante “Sa Jana” intrisa di oscura psichedelia, pur nel suo intrinseco sviluppo heavy dark.
Arkon vede la luce per Underground Symphony e si manifesta sotto forma Cd contenuto dentro un digipak apribile a tre ante con le note tecniche di rito e una foto dell’intera band scattata all’interno della campagna sarda, of course.
Resta da dire che la produzione è ottima e l’artwork assai accattivante.
Amen
Ulisse “UC” Carminati