Recensione: Armod
Il tempo scorre lento, lungo la scia luminosa di un alito di fuoco che riscalda il corpo, ma soprattutto l’anima, dal freddo. Il vento, impietoso continua il suo incedere tra gli alberi innevati, mentre continua la marcia tra le ombre alla ricerca di uno spicchio di luce.
Queste sono alcune delle emozioni tradotte in musica estratte dal nuovo e ambizioso album degli svedesi Falconer: Armod è il suo nome e rappresenta un vero tributo, non solo musicale, a quelli che sono i sentimenti popolari e tradizioni annesse dei popoli nordici. In quanto svedesi, in questo nuovo capitolo i nostri, guidati dal duo imprescindibile Mathias Blad (Voce) e Stefan Weinerhall (Chitarra e tastiere), non lasciano nulla al caso e prediligono la loro lingua madre al più canonico inglese. Il risultato è sorprendente alla luce soprattutto della poca versatilità della lingua svedese che riesce a coesistere e a fondersi alla perfezione, con qualsiasi tipo di partitura, dalla più delicata alla più robusta: di questo particolare si deve dare atto alla maestria con la quale i Falconer hanno curato il loro songwriting.
La classe è rimasta inalterata, la perseveranza nel continuare un discorso artistico iniziato nel ben lontano 1999, ha spinto la band ad andare oltre, a cercare al proprio interno qualcosa che li possa rappresentare non solo come musicisti, ma come uomini. Attraverso questo viaggio vissuto tra le undici tracce di questo nuovo e intenso capitolo, l’obiettivo sembra essere raggiunto a pieno.
Dal punto di vista stilistico rispetto all’ultimo Among Beggars And Thieves qualcosa è cambiato: per far rivivere ai massimi livelli lo spirito nordico, si è preferito incentivare la componente folkloristica, affidando a violini e flauti il compito di ricreare le atmosfere giuste, cariche di epicità e pathos, rendendole adatte a quei momenti più intimi che la band ha sempre prediletto nei propri album, limitando al minimo storico l’uso delle tastiere, senza però perdere l’aggressività e la velocità che ha sempre contraddistinto le loro composizioni.
Tutto suona tremendamente spontaneo, gli anni che sono passati non hanno scalfito minimamente l’ispirazione dei cinque scandinavi e quello che l’ascoltatore si troverà di fronte è un album maturo, vero, ricco di sfumature diverse tra di loro, di emozioni contrastanti, di momenti di pura adrenalina, ma anche episodi di quiete, filastrocche da cantare in circolo davanti a un bel fuoco caldo.
L’apertura del disco è affidata a Svarta Ankan, brano articolato dai tempi medio-alti, molto roccioso e melodico, dal ritornello piacevole e dai vocalizzi di Mathias semplicemente fantastici. La voce di quest’ultimo rappresenta il marchio di fabbrica dei Falconer con la sua timbrica calda e avvolgente più unica che rara.
Secondo pezzo e nuovo cambio di abito: con Dimmornas Drottning è di scena (se si esclude la parte finale del pezzo) l’anima più mansueta della musica dei Falconer. In questo brano, esce fuori tutta la maestria della voce di Mathias, che sussurra la melodia scandita da una dolce chitarra acustica.
Ma la quiete tanto attesa, viene squarciata dalla seguente Griftefrid e del suo inizio semplicemente devastante in blast-beat. Il brano in esame, risulta tra i più riusciti dell’intero album, grazie ai continui cambi di ritmo e ai meravigliosi arrangiamenti. I minuti passano, ma per l’ascoltatore il viaggio è appena all’inzio: O, Tysta Ensamhet rappresenta il secondo lento dell’album, con le sue strofe cariche di atmosfera e i suoi contorni malinconici.
Neanche il tempo di rilassarsi e si contiua a pestare con la successiva Vid Rosornas Grav che mantiene intatto il trademark fino a ora proposto dalla band, con il suo furore epico, i suoi cambi di ritmo in corso, assoli meravigliosi e annessa filastrocca finale. Ogni pezzo è perfettamente incastonato alla perfezione nel suo mosaico, forse solo la successiva Grimborg nonostante sia piacevole, risulta al di sotto dello standard fin ora proposto.
Herr Peder Och Hans Syster invece, è la canzone con il minutaggio più lungo, la più sofisticata, ma anche la più completa e nonostante non sia di facile comprensione risulta sempre gradevole e ammaliante.
L’ottavo brano, Eklundapolskan, rappresenta la prima dei due brani strumentali presenti nell’album, il suo compito è quello di fare da collante tra le due tracce, quella antecedente e quella successiva totalmente diverse tra di loro, finendo col sorprendere l’ascoltatore con il suo carettere inquieto e selvaggio, una vera rarità.
Mentre Grimasch Om Morgonen scorre dolce, lenta e sognante grazie all’incredibile performance di Mathias, Fru Silfver con il suo fantastico gioco di violini e ritmiche in doppia cassa martellante chiude degnamente e virtualmente l’album, in quanto la chiusura e affidata alla strumentale Gammal Fäbodpsalm.
In Armod si respira un’aria magica, un universo di suoni e immagini scolpite nell’epicità vera, non quella pianificata a tavolino. Un album che vi conquisterà a prescindere dal vostro credo metallico: un disco vero, dall’animo nordico, che saprà riscaldarvi anche nelle notti più fredde.
Ottavio ”octicus” Pariante
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Tracklist:
01. Svarta Änkan 6:55
02. Dimmornas Drottning 4:17
03. Griftefrid 4:19
04. O, Tysta Ensamhet 4:08
05. Vid Rosornas Grav 5:52
06. Grimborg 3:31
07. Herr Peder Och Hans Syster 7:17
08. Eklundapolskan 2:56
09. Grimasch Om Morgonen 2:29
10. Fru Silfver 4:32
11. Gammal Fäbodpsalm 3:23
Line up:
Mathias Blad: vocals
Stefan Weinerhall: guitar and keyboards
Jimmy Hedlund: guitar
Magnus Linhardt: bass
Karsten Larsson: drums