Recensione: Arms And The Covenant
Collapse: e quali saranno?
C’è una gran varietà di omonimi che va dalla Russia agli States, dall’Italia alla Germania. Ma il quintetto in questione è made in U.K. e non ha nulla a che vedere con i generi sfoderati dagli altri detentori dello stesso nome. Questi terribili ragazzi londinesi vanno a intaccare melodia e groove appartenenti a gente quale Machine Head, Lamb Of God, ma con un ampio raggio che si propaga fino ad ambiti industrial e *-core che rendono omaggio a Fear Factory e Whitechapel. Il tutto miscelato con una perizia tale da rendere il sound globale efficace e funzionante.
Dopo l’EP “Scar The Silence” del 2010 debuttano ufficialmente con il primo full-length “Arms And The Covenant”, sul quale la Transcend Music punta moltissimo. Basti pensare alle varie fasi in cui è stato ‘costruito’ e manomesso in fase di post-produzione per ottenere il risultato di un disco quasi perfetto. La batteria è stata registrata nei Nott-In-Pill Studio da Martyn ‘Ginge’ Ford (Trivium, Bullet For My Valentine), le chitarre presso gli Andy’s Goat Hut Studio e la voce agli Steve Power’s Studio di Londra. Il tutto assemblato e ‘spedito’ in Florida per far aggiungere ritocchi alle sei corde dalle mani esperte di Lewis (Black Dahlia Murder, Whitechapel) negli Audiohammer.
E l’impressione è di un ottimo prodotto sia dal punto della produzione sia da quello dell’esecuzione, ma con la sensazione di ascoltare un disco preconfezionato e levigato in tutte le sue parti dove tutto deve risultare perfetto. Ma questa perfezione rilascia un ‘qualcosa’ di falso e non spontaneo che si avverte fin dalle prime battute. Partendo dal presupposto che esplorando ambiti *-core e industrial tutto debba essere messo a puntino, comunque non dovrebbe mai essere tralasciato quel senso di musicalità che differenzia le varie proposte.
Brani come “Arms And The Covenant”, “The Cursed” sono dei pugni in faccia, così come l’ipnotica “Follow” e il riff di “Of Iron” che s’imprime a primo ascolto. “Attrition” è un tributo a Phil Andelmo e ai Pantera, esponenti di quel groove metal sul quale si basano le fondamenta dei Collapse. Le prestazioni dei singoli musicisti sono eccellenti, su cui spicca il ruggito di Wilkinson, che riesce a tener testa a un riffing sempre efficace. Il disco chiude a sorpresa con un omaggio ai Carcass, che a mio avviso risulta fuori luogo e fuori stile. La durata identica all’originale e il “nota per nota” degno di una cover band saranno pensati per scopi commerciali? Non credo che i fan dei Carcass necessitino dell’ennesima cover di “Heartwork”, tantomeno suonata da una band che si presenta col primo disco. Forse è solo per ricordarci che tra qualche settimana ci troveremo di nuovo al cospetto dell’uscita più attesa del 2013.
Qualunque sia il motivo non va a compromette il giudizio sulla band che esprime un potenziale di elevate qualità, che in futuro dovrebbero esser messe al servizio di uno stile personale che aiuti la loro musica ad essere più vera e sincera.
Vittorio “Versus” Sabelli
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