Recensione: Arntor

Di - 16 Aprile 2010 - 0:00
Arntor
Band: Windir
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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94

Il diamante nasce grezzo nelle viscere della terra. Un apparentemente vile pezzo di carbone sottoposto a forze naturali incontrastabili viene elevato a perfetta, cristallina magnificenza.
Spesso, un uomo, se lo ritrova fra le mani. Gesti antichi, sapienti lo modellano, lo plasmano, lo rendono forma perfetta.
Tolgono il superfluo, andando dritto all’essenza della perfezione. Esaltano la forma, rendendola immortale.
Valfar prese un’idea e la rese tangibile, reale. L’uomo, il musicista, l’idealista plasmò con il potente e allo stesso tempo malleabile Nynorsk il suo personale pezzo di carbone tagliandolo in 7 facce distinte, perfette, cristalline, smaniose di ricevere un raggio di luce che le attraversasse, che infondesse loro la vita.
Terje Bakken ha tagliato con lame fatte di vento, di ghiaccio e di fuoco un pezzo dalla sua terra che come in un sogno si tuffa nello Sognefjord.
Quello che ne è risultato lo ha condiviso con noi: Arntor.
Come un diamante non è semplicemente un ordinata sequenza di atomi di carbonio, così Arntor non è solo una semplice serie di canzoni. L’essenza del tutto sta nell’interpretazione, nel valore che diamo alle cose indipendentemente dal valore oggettivo. Ed è in questo contesto che la similitudine del diamante si fonde e trova spazio nella valutazione del lavoro dell’artista norvegese.
Un disco così è difficile da catalogare. Arntor chiede solo di essere ascoltato ed amato. Nulla di più.
Partorito da una mente visionaria e geniale, Arntor parla dell’omonimo contadino guerriero che parteggiò per Re Magnus Erlingsson nella guerra di scena al Sognefjord.
Il sovrano, deposto nel 1180 dal nemico faroese Sverre Sigurdsson, tornò in patria dopo l’esilio imposto dallo stesso Sverre in Danimarca, per combatterlo nella battaglia di Fimreite.
Arntor guidò la rivolta del paese oppresso dalle inique tasse del despota. Di contro, il perfido Sverre grazie anche al contributo dei suoi lacchè tra i quali spicca la figura di Ivar Dape, soffocò la rivolta nel sangue diventando, di fatto, il sovrano indiscusso del regno di Norvegia dal 1184 al 1202.
Arntor perì eroicamente presso la sua fattoria a Kvåle mentre l’amata Sogndal veniva rasa al suolo.
Arntor è una album che si lega indissolubilmente al il seguente “1184”, anno in cui, peraltro, si è svolta la battaglia di Fimreite.
Valfar si fa scaldo e ci racconta pene e tormenti della terra natia con versi in cui la poesia si scioglie nel dolce miele della musica tradizionale e nel furioso impeto selvaggio della guerra, dell’odio e della vandetta.
Vecchi brani del folklore vengono riarrangiati e gettati nella mischia per ricordare e omaggiare le radici del caro intramontabile regno, conferendo al disco uniche, fantastiche ambientazioni e suggestioni.
La cosa davvero sconvolgente è come dopo solo due anni dall’ottimo album di debutto “Sóknardalr”, l’artista sia stato in grado di partorire -grazie anche al prezioso apporto di musicisti egregi come Jørn “Steingrim” Holen alla batteria e Sorg alla chitarra- un album di cotanta stupenda magnificenza. Elevarsi dalla nicchia del genere fino alle vette innevate del vicino Galdhøpiggen non è cosa da tutti giorni e, decisamente, non è un privilegio riservato a molti.
Qui parliamo di predestinati, non c’è molto da aggiungere.
Ritmiche black sovrastate dall’urlo di Valfar intercedono nei momenti più epici ed evocativi dove tastiere e fisarmoniche si limitano a sussurrare al cuore di chi ascolta; a “Byrjing” l’onore di aprire le danze. I tasti della fisarmonica pennellano delicate ed armoniose melodie accompagnate da una tastiera sommessa e cauta. A rompere l’incantesimo ci pensa, subito dopo, l’assalto frontale partito dal drumming martellante e dall’urlo gelido di “Arntor, ein Windir”, canzone eclettica in cui i ritmi forsennati dell’esordio sono capaci di rallentare ed adattarsi alla drammaticità della storia narrata. Come in una battaglia, il brano segue il naturale evolversi degli eventi, facendosi greve nel finale quasi a voler amplificare la fine brutale riservata alla rivolta di Sogndal.
 


“…Eplekjekke Ivar Dape ba om grid,
Arntor å karadn lyste ut krig…”

“…quando Ivar Dape chiese la pace,
Arntor e i suoi uomini proclamarono guerra…”

“Kong Hydnes Haug” prosegue nella narrazione. L’atmosfera si fa più malinconica e tetra, i cori divengono solenni, l’incedere lento viene squarciato in più momenti dalle urla siderali di un ispiratissimo Valfar.
Come il diamante riflette l’irraggiante luce che lo colpisce, così Arntor sprigiona la sua luce cristallina al mondo che lo circonda raggiungendo ogni oscuro angolo dimenticato rimasto, fino quel momento, nell’ombra più fitta.
È tutto in susseguirsi di emozioni, di sfuriate gelide e sferzanti e di poesia, passando attraverso tutto il lavoro così come si passa attraverso la luce che colpisce il puro tetraedro.
Da “Svartesmeden Og Lundamyrstrollet” a “Saknet”, il viaggio nella mente del giovane polistrumentista diviene conoscenza: quando il disco finisce con le note di “Ending”, sembra di conoscere ogni angolo, ogni sfaccettatura, ogni sogno di Terje Bakken e di sentirlo come qualcuno che conosci da sempre, come uno di famiglia.
Terje ha condiviso con noi una parte enorme del proprio essere, della propria terra, ci ha voluto raccontare una storia che resterà per sempre nelle memorie di tutti gli amanti del guerriero venuto da Sogndal.  

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Tracklist

1.Byrjing
2.Arntor, ein windir 
3.Kong Hydnes Haug 
4.Svartesmeden Og Lundamyrstrollet
5.Kampen
6.Saknet 
7.Ending

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