Recensione: Arrayed Claws
La I,Voidhanger non è una casa discografica per stolti: cerca sempre e da sempre di proporre alcune piccole realtà che in ambito black metal underground possano andare a colmare quella piccola lacuna, che in passato nessuno aveva colto. Oggi parliamo dei Lorn, gruppo Italiano di Bolzano, che arriva al fatidico terzo album in studio con i pronostici del caso. Le precedenti release erano state ottimamente accolte dal pubblico, molti avevano giustamente visto in loro il nuovo che avanza e sopratutto con il secondo album, “Subconscius Metamorphosis”, i nostri avevano ottenuto un discreto seguito senza mai però creare veri e propri capolavori. Oggi come sta il gruppo? Diciamo subito che il lato prettamente psichedelico del passato è stato leggermente messo da parte, andando a porre l’accento sul lato più fisico e materialista della proposta musicale: Meno viaggi esistenziali dunque, ma di materialismo e di sostanza vera e propria non se ne ha molta traccia. Bisogna dirlo sin da ora, “Arrayed Claws” non è un disco che fa gridare al miracolo, anzi. A conti fatti con le cinque canzoni qui presenti, ognuna nel suo piccolo singolare e inattaccabile all’interno del proprio spazio, l’idea di avere una staticità creativa e una mancanza di idee va per la maggiore. Non sono qui per fare un piccolo trattato di black metal, ma lungo l’intera durata dell’album non possiamo trovare ciò che normalmente è quantificabile come black, poiché la voglia di sperimentare e di trovare un’identità, a volte forzata, è andata ad intaccare quel poco di buono è presente nel disco.
La prima, ‘Disharmonic Feticism‘, va ad affacciarsi su sonorità che rievocano la scena statunitense, per poi a metà brano crogiolarsi dentro una nenia di incomprensibile veridicità. Dieci minuti che potevano benissimo diventare cinque e il risultato sarebbe stato identico, se non migliore. ‘Abstract Trap‘ parte molto bene, anche se la furia che dovrebbe esplodere dalle partiture scritte non riesce ad emergere a causa di una produzione che va a penalizzare molte delle soluzioni trovate. Il suono delle chitarre, a tratti, è definibile quale “fastidioso” e la batteria cacofonica non facilita il tutto; se questi erano gli intenti iniziali, la band ha centrato l’obbiettivo. Senza un motivo, senza un perchè, lungo la traccia troviamo due stacchi atmosferici che spezzano il ritmo e ci si ritrova nuovamente, per la seconda volta di fila, con un monolite da dieci minuti e tu hai solo voglia di farla finita, skip acconsentito. ‘Toybodim‘ non ha nulla degli stacchi atmosferici citati precedentemente e finalmente un velo di black puro lo si riassapora, ma la qualità è discutibile poiché il “già sentito” è onnipresente. Nulla di personale e innovativo viene a palesarsi sul nostro cammino. ‘Süt-Aq-Köl‘ la possiamo definire una sorta di strumentale, con qualche latrato in lontananza che si appoggia su di un riff monolitico lungo tutta la sua lunghezza; Leviathan ed echi dei primi Xasthur possono venire in mente lungo l’ascolto, ma tutto ciò è già stato scritto e riscritto nel passato. Chiudiamo la corsa con ‘Aus Nebel Torn‘ che diventa una atmosferica semi-post-qualcosa lenta e soffocante, l’unica maniera per descriverla è con la domanda: “che senso ha?”.
Lungi dall’essere cattivi per partito preso, ma ciò che poteva essere il guizzo finale verso la consacrazione per un gruppo con le potenzialità e le carte in regola per ambire a un pubblico più ampio, oggi ci riserva poche gioie, molti dubbi e un disco che di sicuro non ha dalla sua la forza e la creatività insita nel popolo Italiano. Probabilmente la voglia di osare e sperimentare ha fatto si che i Lorn siano andati troppo oltre, oltre la loro stessa visione di musica, che ad oggi pare persa nei banchi della fitta nebbia del Trentino-Alto Adige. Sperando che il futuro per loro sia di tutt’altra qualità ci riserviamo il beneficio di non consigliare “Arrayed Claws”, nel mercato oggi sì può trovare molto, molto di meglio e con più sostanza. Ai posteri l’ardua sentenza.