Recensione: Ars Medioheavy
In quest’ultimo periodo il folk metal ha fatto il “boom” anche in Italia, con miriadi di artisti che hanno cominciato di punto in bianco a dedicarsi a questo genere. La Moonlight Records non si è fatta sfuggire l’occasione (fra i nomi italiani più noti che militano sotto quest’etichetta citiamo Vallorch, Ulvedharr e Artaius), arrivando quest’anno a pubblicare anche “Ars Medioheavy”, terza opera dei ravennati Diabula Rasa.
Il debutto autoprodotto di questi cinque ragazzi, a dire il vero, risale al 2005, ben prima che la “moda” del folk metal scoppiasse anche qui da noi. I due album precedenti, tuttavia, pur essendo sufficienti, presentavano ancora qualche difetto qui e lì; difetti che, a scanso di equivoci, sono stati perfettamente limati in questa nuova release.
Basta l’iniziale “Ghirondo”, interamente strumentale, per capire la direzione intrapresa dai Diabula Rasa: base di batteria incisiva e ritmata, chitarre massicce e tanto folk medioevale. La sezione acustica è il vero punto forte di questo disco, poiché le linee di cornamusa di Luca Diabula non sono state create ex novo, ma rispecchiano ciò che realmente si suonava attorno al 1200 in Europa.
Una ricerca musicale quindi ben più profonda del solito, che ha unito il vecchio e il nuovo, soffermandosi anche e sulle lyrics dei brani. Queste ultime sono cantate (ottimamente) da Samantha Bevoni in vari idiomi antichi, come ad esempio la Lingua d’Oc e la Lingua d’Oil, andando ad accentuare quella sensazione di “rievocazione” del Medioevo che si respira per tutta la durata del disco.
In tal senso le canzoni aiutano, un paio di ascolti, infatti, sono necessari per memorizzare le melodie strumentali e vocali (non è presente alcuna traccia di harsh vocals). Brani come “Vermell”, “Tsanich”, “In Taberna” e, soprattutto, “Maledicantur” sono assolutamente orecchiabili, in senso buono, però.
“Maledicantur”, in particolare, è da considerare la miglior traccia del lotto, in quanto dotata di un ritornello decisamente azzeccato, che di sicuro farà sfracelli dal vivo.
Tutto molto buono, quindi, anche se non siamo ancora di fronte all’eccellenza più assoluta. Le canzoni sono tutte piacevoli, è vero, ma mancano di quel pathos che ha caratterizzato alcune produzioni nostrane di recente. Si ha spesso la sensazione che questo “Ars Medioheavy” manchi di varietà: tutte le canzoni sono dei mid-tempo con scarsissime accelerazioni, così come pochi risultano essere gli inserti di voce maschile. In tal senso una maggior interazione fra i due cantanti (Samantha e Luca Diabula) avrebbe aiutato a raggiungere quel “qualcosa in più” che spesso fa la differenza fra un disco buono e uno ottimo.
Ciò non toglie che il miglioramento rispetto ai due dischi precedenti è per certi versi sorprendente. Come classica ciliegina sulla torta va aggiunta una produzione più che buona, in grado di rendere bene tutti gli strumenti, unita ad una prova dei musicisti decisamente convincente.
Non siamo dunque di fronte ad un capolavoro, ma i Diabula Rasa dimostrano questa volta di che pasta sono fatti realmente, smussando i difetti dimostrati in passato pur non raggiungendo ancora i livelli di alcune band più blasonate. Ma, come si suol dire, diamo tempo al tempo. Intanto “Ars Medioheavy” rimane un disco consigliato a chiunque voglia qualcosa di semplice e allo stesso tempo capace di rievocare le atmosfere di tempi ormai lontani.
Michele “Myggdrasil1184” Anastasia
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