Recensione: Art Of Killing

Di Daniele D'Adamo - 20 Marzo 2013 - 0:01
Art Of Killing
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Anno: 2013
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Otto anni d’attività da festeggiare con un nuovo album.

È il caso dei brasiliani Chaos Synopsis che, dopo un demo (“Garden Of Forgotten Shadows”, 2006), un singolo (“2100 A.D.”, 2008), un EP (“Postwar Madness”, 2009), il debut-album (“Kvlt Ov Dementia”, 2009) e un live-album (“Live Dementia”, 2010), danno alle stampe “Art Of Killing” con la sempre più intraprendente quanto impronunciabile etichetta polacca Wydawnictwa Muzycznego Psycho Records.

“Art Of Killing”, pur non essendo un concept vero e proprio, ha un filo conduttore che lega le storie di nove serial killer; approfondendo le loro storie, le loro motivazioni e i loro modus operandi. L’argomento a onor del vero non è così originale poiché l’interesse sui macabri rituali che caratterizzano questi assassini è già stato manifestato in lungo e in largo da decine di band che hanno praticato e praticano il death metal. Nel caso dei Chaos Synopsis, tuttavia, occorre evidenziale che in realtà il genere è un mix fra il death stesso e il thrash, basato su una forte componente hardcore. E ciò conduce immediatamente ai Sepultura, croce e delizia del metal estremo giallo-oro. Senza la band di Belo Horizonte, difatti, difficilmente si sarebbe avuta in quelle terre una scena così affollata di musicisti come quella attuale. La forza trainante di Max Cavalera e compagni è stata enorme, irripetibile in estensione e intensità, e di ciò bisogna sempre darne atto, se si discute di Storia. Tuttavia, come una sorta di maledizione, riesce arduo se non impossibile trovare una formazione che riesca ad affrancarsi al 100% dal loro stile.

I Chaos Synopsis la buona volontà ce la mettono, per dar luogo a qualcosa di meno prevedibile e scontato: non a caso, come accade nella title-track, sono stati inseriti degli inserti hard rock e, pure, rock’n’roll (“B.T.K. (Bind, Torture, Kill)”). Un’idea coraggiosa che, però, non sortisce gli effetti sperati poiché troppo avulsa dal contesto generale e, soprattutto, troppo isolata. Il groove, alla fine, è più o meno il ‘solito’, cioè quello che si ascolta, per esempio, nell’opener “Son Of Light”; anche se i Nostri rimangono abbarbicati sulle coordinate stilistiche fondamentali del thrash lasciando perdere le sirene di quel nu-metal che, bene o male, ha condizionato l’evoluzione del thrash medesimo a cavallo del nuovo millennio.

A parte qualche sfuriata nel Reame dei blast-beats (“Vampire Of Hanover”) o qualche riff particolarmente marcio, l’impalcatura del sound del combo di São José dos Campos si erge prendendo come riferimento, innanzitutto, il thrash. Il cantato urlato e stentoreo di Antti Kotiranta non lascia dubbi, nel merito. Anche il (buon) rifferama elaborato da Ville Snicker difficilmente si sposta dal caratteristico suono stoppato e compresso dal palm-muting. La produzione ‘secca’ (hardcore…) e le accordature ‘normali’ tengono lontano il groove metal (o post-thrash) da “Art Of Killing”. Stranamente, però, il flavour del disco sa, e non poco, di death; forse in virtù di un certo tono a volte oscuro (“Zodiac”), a volte morboso (“Red Spider”). Un tono che materializza con efficacia la durezza e crudezza dei temi trattati. Quindi, seppur non si tratti di uno stile innovativo, la personalità c’è e, assieme a essa, anche dovuta continuità tipologica, fra una canzone e l’altra.    

Canzoni che, purtroppo, non hanno un gran sapore. Anche facendo girare il CD per lungo tempo nel lettore si ha la sensazione di ascoltare un insieme di song piatto e grigio. Pur non mancando la tecnica e la coerenza compositiva, non ci sono tracce di ‘quel qualcosa in più’ tale da attirare l’attenzione. Con che, abbastanza in fretta, appare inevitabilmente la noia. Può rimanere qualche traccia, in testa, dell’incipit di “Monster Of The Andes” ma, davvero, si tratta di troppo poco per giustificare un interesse vivo e duraturo per il lavoro.

Con l’inflazione che ammorba la scena metal internazionale, a ben vedere, ci sono molti progetti più meritevoli di questo a non avere uno sfogo discografico con una label, seppur underground. I Chaos Synopsis non sono da buttare, questo deve essere chiaro, ma far parte della grande famiglia metal del Brasile non equivale necessariamente a raggiungere la sufficienza.   

Daniele “dani66” D’Adamo

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