Recensione: As Gomorrah Burns
Dopo undici anni dall’ultimo LP, omonimo, si risvegliano i Cryptopsy con un album nuovo di zecca: “As Gomorrah Burns”. La formazione è più o meno sopravvissuta, dato che all’appello manca soltanto il chitarrista Jon Levasseur. Per il resto, il tutto ruota attorno a Flo Mounier, batterista originario, quindi presente quando, nel 1992, la band canadese emetteva i primi vagiti.
Verso la fine degli anni ’90 la consacrazione con il seminale disco “None So Vile”, il quale metteva i puntini sulle i per ciò che concerneva il concetto, duplice, di brutal/death metal. Cioè, l’estremizzazione più spinta possibile del death metal medesimo. Un fatto non da poco, poiché gettava le fondamenta per un numero pressoché infinito di act che avrebbero attinto a piene mani dai due nuovi sottogeneri.
“As Gomorrah Burns”, così distante da quei tempi, continua a proporre la stesa miscela di brutal e technical death metal. Il tempo passa, i concetti si modificano, per cui, oggi, per i Nostri, appare più centrato parlare di technical death metal, se proprio si vuole appioppare loro una definizione a tutti i costi. L’LP, difatti, mostra una quantità di qualità impressionante. La pulizia della produzione dovuta all’appartenenza al roster della Nuclear Blast Records, consente di cannibalizzare sino ai più minuti pezzetti carne il sound del gruppo di Montréal.
Sound complicatissimo, a tratti lambiccato, elaborato grazie a un’esecuzione strumentale stupefacente. I membri, peraltro, nel corso dei lustri hanno suonato in molte realtà ad alto tasso di complessità. Un’eredità che è stata trasfusa appieno nel full-lenght, sicuramente uno dei più difficoltosi nel venirne a capo, in questo 2023.
Tecnica, talento e abilità applicate al death oltranzista, dosate in questo modo, non possono che dare luogo a un disco estremamente difficile da digerire. Trionfa la non-linearità, difatti, elemento cardine nella costruzione dei brani, a volte talmente esasperato da rendere il brano stesso un esercizio virtuosistico la cui piena compressione è quasi una chimera (‘Frayed the Swine’).
La musica, nel complesso è violentissima, devastante, annichilente, volta all’atomizzazione delle membrane timpaniche (‘Godless Deceiver’). In certi momenti appare addirittura impossibile che degli esseri umani riescano a penetrare così a fondo l’etere, ruotando vorticosamente grazie a un turbinìo di note dalla scrittura irrealizzabile.
L’uso dei blast-beats, da parte di Mounier, è pazzesco. Da allucinazione. Da stordenti vertigini da hyper-speed (‘In Abeyance’). Ovviamente non è l’unico tipo di ritmo utilizzato, all’interno del platter. Ogni tanto, ma raramente, i BPM diminuiscono di numero, riuscendo, se possibile, a risultare pesanti come un carro armato. Come le visionarie ‘Obeisant’ e ‘Praise the Filth’, tracce parecchio diverse dalle altre, in cui si prova a tornare indietro nei decenni, quando, ancora, non si spingeva sull’acceleratore al massimo possibile.
Per il resto è lo sfascio assoluto. L’impatto frontale delle varie song è mostruoso, impossibile a definirsi compiutamente a parole. Bisogna farsi coraggio e affrontare ad alto volume brani come ‘Ill Ender‘, agghiaccianti mazzate sulla schiena, irrobustite dal gigantesco, titanico riffing di Christian Donaldson, chitarra-tritatutto, e dalle impossibili linee disegnate a piena forza dal basso di Olivier Pinard.
Tutto bene, quindi? No, e il motivo è assai semplice. Seppure possano ancora essere considerati dei Campioni, i Cryptopsy sono costretti a lottare con altre realtà se non dello stesso livello tecnico-artistico, quasi; evolutesi nel corso degli anni per raggiungere loro, gli ex-numeri uno. Con che, “As Gomorrah Burns” non è più un’opera che porti a gridare al miracolo. Più che buona, insomma, ma poco più.
Daniele “dani66” D’Adamo