Recensione: As Strangers We Depart
I Cross Vault sono una realtà dai tratti piuttosto particolari. In primo luogo, perché – in modo abbastanza singolare – il loro Traditional Doom non si riferisce tanto, o comunque non principalmente, ad interpreti come Saint Vitus, Candlemass, Trouble o Cathedral, il cui sound rappresenta solitamente l’influenza primaria della quasi totalità dei gruppi dediti a questo genere. La maggiore fonte di ispirazione del combo tedesco è invece da ricercarsi negli inglesi Warning, che tra la fine degli anni Novanta e la prima decade dei Duemila con “The Strenght to Dream” (1999) e il capolavoro “Watching from a Distance” (2006) portarono a un deciso quanto (dai più) incompreso rinnovamento nel Doom, con una proposta dalle forti connotazioni atmosferiche incentrata su emotività e fragilità, attributi dell’animo umano fino ad allora poco esplorati in questo ambito.
Altro aspetto singolare è rappresentato dall’insolita evoluzione avvenuta in seno alla lineup del gruppo. Formatisi nel 2013, l’anno successivo i Cross Vault danno alle stampe il debut “Spectres of Revocable Loss” in cui sono accreditati i soli N. (voce e batteria) e M. (chitarra e basso). Con il secondo full leght “The All Consuming” (2015) entra in squadra il batterista B. (aka Skullsplitter), mentre nel 2016, in occasione della registrazione dell’EP “Miles to Take”, la formazione si cristallizza in quella attuale con l’ingresso del bassista F. e del chitarrista G.. La cosa insolita non è tanto la transizione da duo a quintetto, dettata dalla necessità di trovare un assetto adatto alle esibizioni dal vivo, quanto il ruolo di primo piano assunto da uno degli ultimi arrivati, il chitarrista di origine lucana G. proveniente dal gruppo Hardcore Resistenza, che in breve tempo diviene il compositore principale, sostituendosi al nucleo fondatore composto da N. e M. nel songwrinting.
Infatti musiche, testi e concept di “As Strangers We Depart”, ultimo capitolo della discografia dei Cross Vault uscito lo scorso maggio via Iron Bonehead Productions a cinque anni di distanza dal suo predecessore, risultano dall’attività compositiva del solo G.. Ciononostante, il disco prosegue in continuità con gli episodi precedenti, caratterizzato com’è da un incedere lento, malinconico ed emotivo, ma maggiormente orientato all’Heavy Metal tradizionale rispetto al passato. La produzione, professionale e sobria, restituisce con fedeltà e potenza tutte le sfumature di questo ricercato lavoro.
La opener “Golden Mending”, con il suo portamento magniloquente riarrangia con personalità le formule espressive dei Warning in chiave decisamente più heavy. “The Unknows Rewinds”, tra gli highlight del disco, si distingue per un’epicità asciutta, molto distante dalla pomposità di certo Epic Doom, che fa il paio con un mood Folk che, pur pervadendo l’intero pezzo, diventa particolarmente riconoscibile nell’interludio acustico della sezione centrale. Il brano è dedicato alla memoria di Carlo Levi (autore del romanzo “Cristo si è fermato a Eboli” e conosciuto per aver portato la Questione Meridionale all’attenzione dell’opinione pubblica italiana nel Secondo Dopoguerra) e si pone come una riflessione sull’irrazionalità della natura umana e sulla necessità di conoscerla per poterla contrastare efficacemente. “Gods Left Unsung”, aperta da un arpeggio di zither (cetra da tavolo), cresce d’intensità con l’ingresso del calcato riff portante su cui si adagiano linee vocali melodiche e vigorose ed assume connotazioni decisamente Heavy Metal nella seconda parte.
“Other Rivers” è il pezzo più scuro del lotto: con il riffing dilatato, il passo esasperatamente rallentato e i registri vocali ora malinconici ora aspri esprime con grande impatto quegli stati di sofferenza e infelicità tipicamente Doom. “Ravines” è una breve parentesi strumentale i cui fraseggi acustici ripropongono più organicamente il feeling Folk finora sentito qua e là. Con “As Strangers We Depart” i Nostri, mediante il ricorso a linee vocali e strutture estremamente melodiche, mettono insieme un’altra composizione introspettiva e atmosferica che ancora una volta guarda, senza farne mistero, agli insegnamenti di Patrick Walker e compagni. La closer “Silent Wastes Untrod”, uno strumentale dal sapore Post Rock decisamente più arioso di quanto ascoltato finora, setta un feeling conclusivo relativamente luminoso e positivo.
Con “As Strangers We Depart” i Cross Vault superano brillantemente la prova del terzo album. In prima battuta si potrebbe ritenere che la scarsa variabilità tra i suoi sette episodi, e all’interno degli stessi, lo renda un prodotto adatto quasi esclusivamente agli aficionados del settore. Ulteriori e più attenti ascolti rivelano invece come elementi quali le soventi e consistenti aperture melodiche, le venature di Heavy Metal tradizionale e la durata del tutto nella media lo rendano accessibile a una platea potenziale ben più ampia: anche gli ascoltatori prevalentemente orientati verso altri sottogeneri farebbero bene a dargli un’opportunità, difficilmente ne rimarranno delusi…