Recensione: Ascending The Solar Throne

Di Daniele D'Adamo - 19 Agosto 2014 - 23:38
Ascending The Solar Throne
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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80

 

Terrore dallo spazio profondo: le guerre stanno ormai scomparendo e quindi i tiranni modificano le proprie millenarie tradizioni. Con la chiaroveggenza, si superano gli orizzonti per osservare le galassie alla luce dei loro crudeli regimi. E, là in mezzo, c’è il Trono Solare, occupato ancora una volta, cui tutti s’inchinano alla sua mercé. Per giungervi, una sola possibilità: la musica degli Empire Auriga.
 
Un viaggio interstellare possibile grazie all’operato di tre misteriosi individui, Boethius, 90000065b e Gestalt, che si basano su una sintesi stilistica partendo da tre diversi elementi primigeni: black metal, dark ambient e industrial. Per una fusione dagli effetti visionari spaventosi. Basta accomodare i padiglioni auricolari entro delle cuffie, infatti, per essere risucchiati nel flusso di particelle che, dagli Stati Uniti d’America (Lansing, Michigan), luogo di azione della band, trasporta le menti al cospetto del Solar Throne.

Malgrado la notevole rarefazione di “Ascending The Solar Throne”, secondo full-length dopo il debutto con “Auriga Dying” nel 2006, gli Empire Auriga non possono essere esclusi dall’immensa famiglia del metal. Sarà per la straziante interpretazione vocale di Boethius, degna del più abissale depressive black metal, o degli eterei nonché volutamente indistinguibili riff di chitarra di 90000065b, più vicini all’eerie emotional music, o più ancora per il drumming da one-man band, ma “Ascending The Solar Throne” entra direttamente nelle fila delle proposte che hanno dato nuova linfa al black amplificandone a dismisura la componente emozionale a discapito di quella meramente ferale.   

E così, immersi nel claustrofobico gelo che contraddistingue il cosmo nei suoi angoli più remoti; accompagnati da un’imperante, tenue melanconia; devastati dalla nostalgia per ciò che è stato e che non ci sarà più; si compie il tragitto obbligato nelle arcigne braccia del dittatore universale. Assorbendo in maniera esponenziale la tremenda desolazione che avvolge i pianeti morenti, via via più intensa che la meta si avvicina. Ciascuna song pare dipingere una tappa di questa epopea, che si caratterizza con qualche passaggio particolarmente importante, memorabile. Come sfiorare l’orizzonte degli eventi di qualche buco nero, sorvolare immense città aliene prive di qualsiasi forma di vita, sfiorare un arido e aguzzo asteroide, attraversare gigantesche nebulose o precipitare nelle spire della materia oscura. L’insieme dei brani, distesi uno dopo l’altro, mostrano un’assoluta coerenza nel rappresentare la voluta unicità del sound della morte interstellare. Rispettando, tuttavia, la segmentazione più sopra indicata. Nonostante l’infinità dello spazio siderale, insomma, gli Empire Auriga non perdono mai la perfetta direzionalità, il giusto verso, la bussola.       
 
Per chi decidesse di abbandonare la miseria di una vita terreste basata su un inumano materialismo, salendo sull’astronave Empire Auriga compirebbe quel salto nello spazio / tempo sì da proiettarsi in un’era di eterna solitudine ma, probabilmente, pregna di emozioni astrali, di sensazioni oceaniche, di mirabili allucinazioni cosmiche.

Tutte le canzoni, ugualmente, meritano di essere approfondite il più possibile, per assorbirne la magnetica personalità, per sprofondare in qualche vortice di materia extraterrestre. Una per tutte, “Jubilee Warlord”, che riassume a sé i principali segni distintivi del sound degli Empire Auriga. Un pezzo dalla straordinaria forza viscerale; dalla languida, rallentata melodia, che per ciò smorza definitivamente la volontà di restare.

Per partire, per volare, per sognare, per non tornare.       

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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