Recensione: Ascension
È ormai passato più di un anno da quando i Caronte pubblicavano il loro EP di debutto, Ghost Owl. Nelle tre tracce del loro esordio discografico, i quattro ragazzi ci avevano introdotto la loro proposta musicale, un doom metal a tinte vagamente psichedeliche, sulla falsariga di mostri sacri come Black Sabbath, Saint Vitus ed Electric Wizard. Uno degli aspetti che più mi avevano lasciato l’amaro in bocca nella produzione precedente era la sua brevità. Questa volta, di certo, le premesse sono migliori: la band ha deciso di osare e di lanciarsi sulla lunga distanza, dando vita a un CD di quasi un’ora.
Se avete presente i brani che componevano la scorsa fatica del gruppo, non vi stupirete constatando che sessanta minuti circa di musica equivalgono a sette tracce, belle lunghe e a tinte scurissime. Ma basta indugiare sui ricordi di un passato che sembra ormai lontanissimo; mettiamoci comodi e scopriamo cosa hanno da dirci i Caronte con questa loro nuova alchimia musicale.
Sin dalla copertina, appare ben chiaro che la band ha deciso di continuare a percorrere la strada aperta con il loro EP di debutto. Lo stile grafico è rimasto immutato, immagini saturate e oscure sovraesposizioni si attorcigliano e intessono una rete di rimandi e arcane simbologie che paiono palesarsi all’occhio dell’osservatore solo per nascondersi a una successiva analisi più approfondita. Mai come in questo caso, ciò che vede l’occhio e ciò che sente l’orecchio sono collegati; anche per quanto riguarda l’aspetto musicale, infatti, i Caronte sono araldi di un metal criptico, occulto, una vera e propria ricerca escatologica contraddistinta da sonorità abissali e allegorie multi-strato.
Se avvertite già una sensazione di straniamento e la scimmietta che abita nella vostra testa ha già iniziato a battere i piattini, state tranquilli. Ascension è un disco che si può tranquillamente ascoltare anche senza sbattere la testa contro il muro, dedicandosi solo allo strato più immediato e fruibile che lo costituisce. Ovviamente, c’è un ma…è evidente che i quattro realizzatori dell’album hanno dedicato molta attenzione a inserire dei riferimenti sotterranei che, strato dopo strato, vanno scoperti ed esplorati come in un viaggio iniziatico. Stati di percezione alterata, rituali magici, sciamanesimo, occultismo: sono questi i fili conduttori che si intersecano in maniera non sempre prevedibile per creare un labirinto in cui ci si può facilmente perdere.
Se avrete la pazienza e la costanza di spingervi oltre, di scavare, ne trarrete sicuramente grande soddisfazione. Perché insisto tanto su questo aspetto? È presto detto, non voglio che rimaniate spiazzati dal fatto che, pur tenendo in mano il libretto, troverete alquanto arduo seguire i testi; il cantato si impasta e collassa su sé stesso, le pause sembrano essere assegnate in maniera del tutto arbitraria, seguendo uno schema che, di certo, non corrisponde a quello della fonetica, con frasi spezzate e parole mozzate. Voglio pertanto accordare il beneficio del dubbio alla band e supporre che sia un processo voluto, visto che tanto bene si fonde con musica e immagini che compongono il CD. Certo, a volte se ne esce stremati…
Per quanto riguarda gli strumenti, nulla di nuovo sotto il sole (sotto le nere nubi?): le sonorità plumbee e abissali che caratterizzano la produzione sono espresse in maniera più che valida dai tre musicisti che, pur non introducendo alcuna soluzione particolarmente innovativa nei propri fraseggi, collaborano per creare una struttura solida, caratterizzata da bassi potenti e pulsanti, riff gravi e graffianti e un ritmo martellante in maniera implacabile. Un bel quadretto, non c’è che dire.
Arriviamo infine all’epilogo, croce e delizia di ogni recensione che si rispetti. Cosa rimane di Ascension dopo tanti ascolti? Sicuramente un buon disco, in grado di catturare l’attenzione e di intrattenere l’ascoltatore. Se ve la sentite di affrontarli, inoltre, i vari livelli di lettura che lo caratterizzano possono essere un notevole plusvalore per l’opera complessiva; certo, se vi spaventano o vi annoiano le ricerche semiologiche, è meglio che giriate a largo, poiché vi trovereste tra le mani un normalissimo disco doom metal, senza particolari pregi o difetti che gli permettano di distinguersi dai fratelli che affollano il mercato.
Un prodotto non per tutti, in definitiva, ma che non mancherò di far felici gli ascoltatori più esigenti. In ogni caso, teniamo d’occhio i Caronte e vediamo cosa riusciranno a fare in futuro.
Damiano “kewlar” Fiamin
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Tracce:
1. Leviathan
2. Ode To Lucifer
3. Sons Of Thelema
4. Horus Eye
5. Black Gold
6. Solstice Of Blood
7. Navajo Calling
Formazione:
Henry Bones – Basso
Mike De Chirico – Batteria
Tony Bones – Chitarra
Dorian Bones – Voce