Recensione: Ascension
I Paladin di Atlanta, attivi dal 2015, sono una band che si pone pochi limiti. Difatti, pur se chiaramente influenzati dallo Speed e dal Power della prima epoca, non disdegnano di combinare il proprio sound con partiture più aggressive e malefiche, formate da vampate Thrash robuste, moderne ed irose ma non troppo estreme, per evitare di slegarle dal contesto.
Questo è quello che si sente ascoltando ‘Ascension’, il loro primo album, prodotto via Prosthetic Records e disponibile dal 17 maggio 2019, successore di due demo esplorativi: ‘Bury the Light’ del 2015 e ‘Demo 2017’ di tale anno.
Con un abbinamento del genere il lavoro non poteva che risultare energico e dinamico, ricco di variazioni e cambi di tempo che vanno da momenti epici e grandiosi ad altri oscuri ed infernali.
A dirla tutta l’album non contiene nulla di originale e, pur essendo un’opera valida, in essa aleggia lo spirito del ‘già sentito’, tipico degli ‘ibridi’, ossia i generi formati da più stili che presero corpo negli anni ’90.
Ma questo non è necessariamente un difetto ed i Paladin fanno quello che fanno talmente bene che il disco non può non piacere e si può perdonare loro la decisione di seguire la vecchia scuola senza ricercare novità per evitare che queste non siano sinonimo di ‘soluzione facile’.
La sezione ritmica è travolgente, passando da ritmi serrati a stacchi forti e decisi e poi a parti più melodiche con relativa semplicità, con le linee di basso (Andy MaGraw) e la batteria (Nathan McKinney) che penetrano nel cervello facendo andare in tilt le sinapsi.
Le sezioni soliste (a carico di Alex Parra e Taylor Washington) sono determinanti, sempre presenti nel modo più svariato e ficcante: duelli tra asce, twin-guitars a profusione, chitarre che seguono la voce come se fossero un contro canto, sezioni melodiche, tirate o disperate. Insomma, chi sta dietro alle sei corde non vuole escludere nessuna emozione.
La voce di Taylor amalgama il lavoro: di scuola Michael Kiske e Fabio Lione, ha buona estensione e capacità interpretativa, caratteristiche che aumentano la carica Power dei brani; riesce inoltre a passare dalle tirate epiche all’angoscia furiosa del growl senza soluzione di continuità e, quando questo non basta, ci sono i chorus e le parti anthemiche che completano il tutto.
Insomma, ‘Ascension’ è una formula chimica che porta ad una fumosa e deflagrante esplosione, lasciando una positiva sensazione.
La partenza è quanto mai azzeccata: ‘Awakening’ è febbrile, coinvolgente e diretta, con le sue strofe potenti e veloci ed il refrain anthemico. L’interludio ne aumenta l’aggressività fino all’assolo ed alla ripresa delle sezioni principali. Il brano sembra chiarire subito a cosa ci si trova di fronte, ma già la seguente ‘Divine Providence’ cambia registro, suonata con tonalità più grevi e cantata unendo strofe growl oscuro, che fa uscire la vena Thrash del combo, ad altre più epiche in clean.
‘Carpe Diem’ e ‘Call of the Night’ premono sull’acceleratore, con un gran lavoro delle sezioni soliste.
‘Black Omen’ si divide tra momenti pirotecnici, accelerazioni spasmodiche e rallentamenti epici per trasformarsi in un refrain dall’andamento cadenzato e durissimo.
‘Fall from Grace’ è un pezzo potente ed incisivo mentre ‘Bury the Light’ vira più verso il Thrash.
‘Shoot for the Sun’, ‘Vagrant’ e ‘Dawn of Rebirth’ si muovono sugli stessi binari: energia elettrica a profusione che conduce all’ultimo pezzo ‘Genesis’, una mini suite di quasi sei minuti e mezzo che mette in luce tutte le capacità tecniche del quartetto, legando assieme le dinamiche Power con l’oscurità del Death, passando dalla luce al buio funesto con buon virtuosismo.
Buon esordio quello dei Paladin che, con ‘Ascension’ si fanno conoscere come una band dalle alte potenzialità. Per il futuro ci aspettiamo la ricerca di qualche soluzione più personale, ma, come esordio, va bene così. Alla grande!!!