Recensione: Ascetic Reflection
Australia. Sole, deserto e mare. Altars. Buio, caverne e freddo. Un’antitesi che si sta imponendo in molte band provenienti dal continente dei canguri. Quasi fosse un movimento death a sé stante.
“Ascetic Reflection”, il secondo full-length in carriera dei Nostri, giunge sugli scaffali dei negozi specializzati dopo ben nove anni dal debutto, avvenuto nel 2013 con “Paramnesia”. Un lasso di tempo notevole, durante il quale si presume siano state affilate le armi per esibire questo particolare sottogenere che, con il doom, ha parecchi punti di contatti. Sottogenere che, a volte, si può leggere nelle varie biografie come dissonant death metal.
In effetti, uno dei punti salienti del sound del terzetto di Adelaide / Melbourne è la completa, totale, disarmante assenza di melodia. Il che, come conseguenza primaria, rende il prodotto edibile solo e soltanto agli appassionati di questa particolare foggia musicale. Davvero troppo ostico da masticare e poi digerire, cioè, agli abituali frequentatori anche del metal estremo.
Nel disco impera il caos, apparente, da intendersi come fosse quasi la faccia visibile di prove d’improvvisazione, con note e accordi che non seguono, in apparenza, alcun filo logico. Scavando nella roccia umida e nera per raggiungere i profondi anfratti in cui si agitano le membra dei musicisti, tuttavia, il tutto assume un significato meno astruso. Il sound scorre via veloce, brutale nella suo incedere convulso, oscuro nel tessere le maglie di una produzione minimale, sporca, ideale per disegnare uno stile dai contorni sfumati e non-lineari. Non molto originale, nondimeno insufficiente a legare con forza il nome del gruppo a quello del platter.
Le incessanti variazioni sul tema, leggasi cambi di tempo accoppiati a riff estremamente arzigogolati e ad assoli completamente disarmonici, non aiutano a farsi un’idea precisa del modus operandi del trio. Il che rimanda alla già menzionata sensazione di un songwriting disarticolato e poco incline a essere apprezzato se osservato da un punto di vista oggettivo. Tuttavia, come si sa, l’oggettività, nelle arti, non è un… aggettivo del tutto calzante, per cui, alla fine, assume rilevanza notevole il gusto personale, nell’analisi dell’opera.
Se però si vuole insistere in una valutazione invece soggettiva, è chiaro che il richiamo ai dettami del death metal è necessario. Vitale, anzi. Dettami che, pure essi, si confondono anzi si disciolgono nella mota ribollente in cui si agitano gli Altars. Evidenza che, a prescindere da tutto, rimanda nuovamente a un incedere sì massiccio, sì rabbioso, sì foriero di visioni di grotte antiche eoni su eoni, ma sempre e comunque poco accattivante, addirittura noioso a lungo andare per via di un’endemica mancanza di guizzi compositivi in grado di catturare l’attenzione.
Insomma, se mancano le canzoni, intendendo per questo una serie di brani troppo simili gli uni agli altri, quasi fusi uno nell’altro da un malloppo di pece, manca tutto, o quasi. Il che è il difetto maggiore di “Ascetic Reflection”.
Si salva invece l’atmosfera, sulfurea, lisergica, a tratti allucinante, resa tangibile proprio dalla perseveranza nell’elaborare schemi distorti nonché strutture musicali monolitiche.
Poco altro da aggiungere, se non che si può tranquillamente passare ad altro.
Daniele “dani66” D’Adamo