Recensione: Åsmund Frægdegjevar
C’era una volta un vecchio re, padre di una giovane principessa. Un giorno la principessa venne rapita dagli orchi e il monarca raccolse presso di sé tutti gli uomini più valorosi e coraggiosi del regno per portare in salvo la propria amata figlia. Tra questi il prediletto fu Åsmund Frægdegjevar, il quale in compagnia dei fratelli salpò con Ormin Lange, la nave dei re, alla volta dell’oscura fortezza degli orchi. Una volta giunti i fratelli si rifiutano di entrare e così, solo per la sua strada, tra corridoi e buie stanze, Åsmund giunse dalla principessa e subito i due si innamorarono. Per via di un incantesimo però la fanciulla era convinta che l’ogre fosse la madre e non desiderava abbandonare il castello né aveva intenzione di farlo. Non avendo altra possibilità Åsmund fu costretto a tentare di portare via la ragazza con la forza. In quel frangente la stessa Skomegyvri giunse in loco e così tra l’eroe e l’orco donna si scatenò un violento combattimento. Dopo una lunga lotta Åsmund uccise il nemico e tornò al castello del vecchio re vittorioso e con il tesoro degli orchi.
Una storia dai tratti e dalle icone propie delle fiabe centroeuropee piuttosto che dei versi dell’Edda o del Kalevala… eppure la vicenda di Åsmund Frægdegjevar appartiene alle canzoni della tradizione popolare del Telemark, regione posta nel sud della Norvegia e situata ad ovest di Oslo.
Con un album ispirato da questa storia e intitolato proprio Åsmund Frægdegjevar, i Lumsk arrivano al debutto discografico.
Decisione singolare e probabilmente coraggiosa per un gruppo folk norvegese quella di rinunciare alle forse troppo inflazionate tematiche eddiche e religiose. Inflazione generata, almeno a modo di vedere di chi scrive, dall’idea che basti un certificato di nascita o una vena anticattolica per sentirsi legittimati a trattare certe tematiche e farsi portatori di certi valori. Può suonare dunque strano che una band originaria di Trondheim, cuore pulsante della Norvegia pagana e vichinga di un tempo, sia estranea a questo filone di nuovi gruppi. Tutto diviene immediatamente chiaro andando a scavare nel passato e negli ascolti dei membri della band: Ac/Dc, Iron Maiden, Slayer, Yes e Pink Floyd piuttosto che nomi come Bathory e Enslaved, muse che hanno guidato i passi di altre band della stessa generazione (fine anni ‘90) verso lidi più estremi. Influenze e attitudini che si ripercuotono indiscutibilmente sulla musica e sono la causa primaria sia di quei suoni di tastiera dannatamente rock vecchio stampo di Fagran Fljotan Folen, sia di quei riff dal retrogusto vicino al thrash che si incontrano qua e là come in Ormin Lange o in Olafs Belti; sia di una dimensione musicale complessiva lontana dalle violente cavalcate black dei Finntroll, dall’estrema melodicità dei Korpiklaani o dagli orgasmici intrecci degli Asmegin (tanto per fare qualche esempio attuale). Tra i nomi più celebri del genere, il gruppo ai quali i Lumsk più assomigliano, per via del malinconico violino, della doppia voce maschile/femminile e della velocità mai elevata sono, con le dovute grandi distanze, gli Otyg. Lo stile dei Lumsk però presenta anche alcune contaminazioni gothic, che si manifestano un po’ per tutta la durata del lavoro, in passaggi vocali e linee melodiche. Il cantato dolce e cullante di Stine-Mari Langstrand si mostra adatto sia ai duetti con Steinar Årdal come in I Lytinne Tvaa, sia nelle più numerose parti soliste. Bene la bionda vocalist fa soprattutto in pezzi lenti e ballate, come Haar Som Spunnid Gull, dove la singer richiama alla mente i modi di Candice Night negli episodi meno solari dei Blackmore’s Night e meglio ancora nella conclusiva bella Der E Ingi Dag’e.
Åsmund Frægdegjevar è un disco lineare, e tra pezzi più o meno gradevoli non racchiude episodi particolarmente ispirati o fallimenti completi. Alle orecchie abituate a velocità elevate e melodie trascinanti (oltre che a quelle più esigenti) il disco presenta i suoi limiti di songwriting, divenendo pesante nell’ascolto e facendo affiorare presto l’inesistenza di una variante rispetto al piatto della casa, se non in rarissimi passaggi. Per quanto certe scelte di suoni e utilizzo di alcuni strumenti potrebbero non essere graditi a tutti (come per esempio sono chitarre e batteria per il sottoscritto) l’album resta ben suonato e ben prodotto: la differenza tra un buon o un cattivo acquisto la fanno solo e unicamente i gusti dell’ascoltatore.
Tracklist:
01. Det Var Irlands Kongi Bold
02. Ormin Lange
03. Skip Under Lide
04. I Trollehender
05. Hår Som Spunnid Guld
06. Slepp Meg
07. Skomegyvri
08. Olafs Belti
09. I Lytinne Två
10. Langt Nord I Trollbotten
11. Fagran Fljotan Folen
12. Kampen Mot Bergtrolli
13. Der E Ingin Dag’e
Line up:
Stine-Mari Langstrand – Voce femminile
Steinar Årdal – Voce maschile
Eystein Garberg – Chitarra
Ketil Sæther – Chitarra
Siv Lena Waterloo Laugtug – Violino
Alf Helge Lund – Batteria
Espen Hammer – Basso
Espen Warankov Godø – Tastiere
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini