Recensione: Aspiration of Failure
“Aspiration of Failure” è il secondo full-length della band di melodic death metal Killing Ghandi. Nata nel 2013 a Copenhagen da membri con esperienze in formazioni del calibro di Myrkur, Manticora, Illdisposed e Wuthering Heights, con il debut-album “Cinematic Parallels” (2015) aveva già mostrato un buon talento complessivo nonché una professionalità irreprensibile.
Non c’è quindi da stupirsi se la Massacre Records abbia messo a disposizione, per la creazione di “Aspiration of Failure”, la produzione di Martin Arendal e Kasper Gram presso gli Studio 907MkII, il missaggio e masterizzazione di Jacob Hansen (Aborted, HateSphere, Illdisposed, Pyramaze) agli Hansen Studios, e il suggello del cover artwork da parte di Al.Ex dei Mayhem Project Design (Aborted Fetus, Starsoup, Spiraller).
Detto questo per inquadrare correttamente la questione, non rimane che farsi travolgere dal fiume in piena alimentato dalle dodici song del platter, anche se occorre evidenziare che tre brani (‘Opus #6’, ‘Opus #2’ e ‘Opus #1’) sono solo dei brevi strumentali atti a suddividere le diverse storie che, assieme, formano il concept di “Aspiration of Failure”, basato su istanti di vita reali e di fantasia del chitarrista Martin Arendal.
Il death metal melodico proposito dal quartetto nordeuropeo è paradossalmente violento – a tratti violentissimo – brutale, duro, massiccio. Gli stilemi di base sono quelli del gothenburg metal, e su questo non c’è dubbio, tuttavia i Killing Ghandi l’hanno ammodernato per inserirlo correttamente nella corrente che scorre attorno all’anno 2018. Inserimenti di tastiere, campionamenti, voci femminili (‘The Painter and the Sleeper’), orchestrazioni (‘Farewell’) sono elementi che arricchiscono notevolmente il loro sound, rendendolo possente e corposo, veloce, avvolgente. Più che buone le melodie, incastonate nell’enorme muraglione di suono innalzato da chitarra, basso e batteria, come dimostra l’hit ‘Dark Hours’, possente monumento al melodic death metal. Ritmi scoppiettanti, capaci di sfondare la barriera dei blast-beats, riff granitici, growling aggressivo e ariose armonie. Una song assolutamente riuscita, la quale mostra con dovizia di particolari che, se c’è talento, alla base, anche un genere apparentemente in parabola decrescente come il death melodico può dire la sua, anzi.
Ciò è vero in generale ma soprattutto in particolare per tutto quanto che concerne i Killing Ghandi, in grado di comporre brani coinvolgenti, brillanti e attuali (‘Building My Own Fate’) che operano l’operazione antitetica d’incollare assieme melodie accattivanti e feroce irruenza (‘Hollow Paintings’, ‘The Great Escape’). Così come strutturato da essi, il melodic death metal rivive dalle proprie ceneri, irrorato dalla loro classe e dalla loro preparazione tecnica. “Aspiration of Failure” è difatti un album adulto e maturo, del tutto privo di indecisioni, di buchi compositivi, di cali di tensione.
Tutte le canzoni hanno qualcosa che le rende degne di essere ascoltate e riascoltate, portando nuova linfa a un genere che, come si è più su accennato, ha probabilmente già raggiunto il suo punto di massima ascesa. Proprio le canzoni rappresentano il punto forte di un sound alimentato da un’energia apparentemente senza fine. Il death è death, non ha altre forme di contaminazioni se non la melodia, appunto, ma per il resto non concede nulla al facile ascolto: l’imponente struttura costruita dal combo danese è davvero spessa, massiccia, nerboruta. Ma, al contrario, il suo completamento, o sovrastruttura, è di metallo prezioso, cioè ricca di chorus e arrangiamenti di alta qualità di scrittura.
Sin quando ci saranno in giro ensemble come i Killing Ghandi, insomma, il death metal melodico avrà lunga vita.
Daniele “dani66” D’Adamo