Recensione: ĄSŦRÅÅL ƇOƝSŦELLĄŦIOƝS OF ŦHE ṂAJÏϹKĄĿ ȤOĐIĄϹ
Dietro al progetto Esoctrilihum, c’è la mente Asthâghul, un polistrumentista particolarmente dotato di talento e creatività. Già, perché Astraal constellations of the majickal zodiac è – udite, udite – il decimo full-length dal 2017: un record assoluto, se teniamo in considerazione anche il minutaggio dei lavori che presenta, ma soprattutto la qualità.
L’ottimo Funeral è uscito solo a Gennaio ed ecco che, dopo circa quattro mesi, vede la luce questa opera davvero astrusa, complessa. E le peculiarità di questa nuova fatica, sono già percepibili dando uno sguardo alla copertina, con un artwork lovecraftiano, visionario: un occhio che dall’alto guarda verso il basso, dove c’è la divinità del Toro Cosmico e una donna dal volto coperto, con le mani insanguinate, forse una veggente. Astraal constellations of the majickal zodiac è composto da 14 canzoni e diviso in tre parti che sono tre veri e propri dischi, per un totale di due ore abbondanti di musica: un’imponente opera che diventa storia, un film su pentagramma da gustare con calma, ma anche con molta attenzione – magari leggendo i testi scritti da Asthâghul.
PARTE I – IN THE MYSTIC TRANCE OF TȂIӍONH ѲX, THE ϹOSMIC BULL GOD
La prima parte, quella introduttiva, è la sezione più oscura e introspettiva dell’intero album. I veggenti della costellazione dello Scorhionxul hanno una visione: segni di fuoco nel cielo e una prossima guerra interstellare. E’ il momento più trascendente: Arcane Majestrix Noir è oscura, tetra e visionaria – aggettivi che si ricollegano principalmente all’Universo e alle sue peculiarità, e non tanto alla “malvagità” delle classiche tematiche black metal. Questa prima parte è caratterizzata dall’uso massiccio di tastiere che danno un senso di profondità e spiritualità che passano dalle visioni e i momenti in cui, grazie ai maestri dell’ Ѳxphiliastisɱe, gli esseri umani entrano in contatto spirituale con gli Dei e le loro menti: è un po’ il brano simbolo di questa sezione, con un ampio utilizzo dell’organo – strumento che ben si allinea alla religione e ai momenti ritualistici – che apre e chiude il brano, intervallato da una possente struttura black metal. Così come Tȃiɱonh Ѳx, la canzone che riassume il genio trasversale di Asthâghul e la sua abilità creatività: l’intro è epicamente malinconica, e cresce di intensità, fino a sfociare in una brutale strofa centrale: un vortice elettrico scandito da un drumming bestiale. Una canzone in cui troviamo un po’ di tutto, dall’intro lenta, al fraseggio heavy metal, al ponte trash passando attraverso un selvaggio black metal. Uran-Ѳx Death Star viaggia alla velocità della luce, nel più profondo Universo, scandito dalla voce echeggiante e straziante di Asthâghul: un up tempo che diventa mid tempo, dando un tocco drammatico, perché le visioni dei veggenti non promettono nulla di buono: uno scontro tra divinità sta per sconvolgere gli equilibrio dell’Universo. Tra suoni di violino, la canzone chiude improvvisamente, pronti a voltare pagina e iniziare un nuovo capitolo.
Parte II – IN THE PRESENCE OF ALŬBḀḀL, THE 5-EYED STAR BEAST
Entriamo nel vivo degli eventi, perché, quando gli eoni dell’ Universo rievocano i ricordi della guerra per la conquista del trono del Tiranno Nebulah, gli eserciti rettiliani schierano i loro maghi guerrieri, mentre le mura della città bianca manterranno le difese e gli abitanti della regione di Tharsidium combatteranno per difendere la loro terra. In questo dispiegamento di forze, le atmosfere diventano più cupe e violente, le tastiere assumono un ruolo meno rilevante ed emergono gli strumenti, con la violenza del puro black metal: a tratti sembra di ascoltare raw black metal soprattutto in AlŭBḁḁlisɱe, la personificazione della ruvidità; già con Shadow Lupus of Sæɱons-Ŧuhr riappaiono in modo meno preponderante ma pur sempre incisivo, andando comunque ad alleggerire le atmosfere. Con Säth-Oxd, Stellar Basilisk si torna verso sonorità più inclini alla prima parte: evocative, mistiche, profondamente oscure, con un ampio e funzionale utilizzo delle tastiere pronte a dare spessore al pezzo, che ha una pregevole accelerata black nel suo cuore.
Parte III – IN THE MOUTH OF ȤI-DYNH-ƓTIR, THE SERPEN-TIME EATER
Arriviamo al capitolo conclusivo di questa grande storia, in cui fa la sua apparizione il Serpente Mangiatore del Tempo, un’altra figura apocalittica, che potrebbe ricordare il lupo Fenrir norreno. Gli ultimi brani, Ȥi-Dynh-Ɠtir : Eon Devourer e Serpatɧei-Ӿythioŋ : Reptilian Time Reversed sono due brani molto simili tra loro, che da soli racchiudono più di 40 minuti di esperienza. E’ il degno epilogo della lotta interstellare, perché in sé mantiene una struttura black metal, che tende all’ambient, contraddistinto, quindi, da un massiccio uso di tastiere ed effetti finalizzati alla rievocazione di ambientazioni “cosmiche”: è una riproposizione del concetto manicheista che c’è dietro ogni religione, attraverso simboli e analogie diverse, ovvero l’alternanza tra Bene e Male, Luce ed Ombra, Yin e Yang. E il tutto viene riproposto in musica. La tensione degli Dei dello Zodiaco per l’arrivo di un nuovo millennio, ed è di nuovo guerra: le spade della trasmutazione Leniliaca si infrangono su scudi di spine, mentre nello Spazio più remoto le creature attendono le delibere del Grande Monarca Incolore. Ma è proprio dai grandi sacerdoti che apprendiamo cosa sta per accadere: una sorta di Ragnarok cosmico, una fine dell’ordine costituito per come è conosciuto, con il Serpente Mangiatore del Tempo che distruggerà i mondi, e dalla sua bocca ricomincerà un ciclo senza fine.
Conclusioni
ĄSŦRÅÅL ƇOƝSŦELLĄŦIOƝS OF ŦHE ṂAJÏϹKĄĿ ȤOĐIĄϹ è un’epopea cosmica, un lunghissimo viaggio in un mondo lovecraftiano e, proprio come l’autore americano, Asthâghul, crea un proprio Universo con simbologie e miti, un’opera quindi non soltanto musicale, ma letteraria. Da un punto divista compositivo è un disco davvero molto sperimentale e variegato, in cui troviamo un po’ di tutto, ma resta principalmente, fondamentalmente e sostanzialmente un album black metal (nella sua parte più distruttiva) che strizza l’occhio all’avantgarde, proprio a causa di questo suo aspetto eterogeneo e sperimentale che emerge nella sua componente visionario-spritiuale. Proporre questo tipo di soluzione, è sicuramente coraggioso e ardito, ma il compositore francese riesce a districarsi con grande disinvoltura e capacità, senza mai annoiare l’ascoltatore con soluzioni originali e creative. Arthur Schopenhauer diceva che “Genio e Follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri”, e questo aforisma si applica alla capacità compositiva di Asthâghul, un artista in possesso di un talento ai limiti della follia: la grande difficoltà nel “progettare” questo disco, di per sé molto articolato e complesso, sta proprio nel comporre la traccia di uno strumento, immaginando quello che sarà il risultato; bisogna avere, quindi, una visione dell’insieme particolarmente utopica, ma allo stesso tempo chiara e ben delineata. E tutto ciò, si ripercorre per due ore abbondati. Già, l’eccessiva durata potrebbe essere un tallone d’Achille che rischia di proiettare l’ascoltatore nel Vuoto dello Spazio, ma in realtà, il tempo, una costante variabile, è solo l’ulteriore tassello che dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che Asthâghul è un genio della musica. Un artista che sa osare e rischiare, e che non ha paura.
Stendetevi supini su un prato con lo sguardo rivolto verso l’immenso cielo stellato; indossate le vostre cuffie preferite: solo ora, potete premere play, ed entrare nel meraviglioso e visionario mondo di Esoctrilihum.