Recensione: Astronomica
Quando sull’orlo del Millennio giunse la notizia, che i Crimson Glory avevano rotto il silenzio, ogni cosa fu probabilmente creduta possibile. Già quando saltò fuori la nuova formazione, iniziarono i dubbi. Al posto di Midnight, fuoriuscito dal gruppo poco dopo il disastro economico di Strange And Beautiful, c’era tale Wade Black. Alla batteria avrebbe dovuto esserci nientemeno che Steve Wacholz (Savatage); di fatto, non c’è nemmeno una sua nota nell’album della riformata band.
Seppur le premesse fossero poco confortanti, nessuno si aspettava un disco come Astronomica. Criticato in modo spietato sin dall’esordio, è di sicuro l’album che i fan storici cercano di dimenticare. Ora, è’ innegabile che nessuno si aspettasse un capolavoro: raggiungere il livello dei primi due album era un’impresa impossibile, con una line-up così poco collaudata. D’altro canto, dopo la bellezza di otto anni, si poteva fare molto di più e molto meglio. Ben lungi dalla compattezza stilistica dei primi classici, l’album si presenta sfilacciato, tenuto insieme da un concept esilissimo e vagamente millenarista (alieni, robot e fantascienza d’accatto).
Il (supposto) trionfale ritorno si apre con March To Glory, tre minuti e mezzo di pregiata cover new age (nella fattispecie, Boadicea di Enya) con una gradevolissima chitarra melodica e una laccatura di suoni “militari”. Non è una brutta traccia, non stonerebbe affatto in un album più coeso, ma non si armonizza affatto con ciò che la segue. War Of The Worlds spiazza immediatamente chiunque fosse abituato al pregiato falsetto à la Midnight: il suo sostituto ha il vetriolo nella gola e non perde occasione di usarlo, mentre una drum machine e un muro di metallo pesante (con basso industriale a rimorchio e assolo interessante) accompagnano questa vera e propria deflagrazione.
A questo punto i fan storici avranno bisogno di un appiglio, un qualsivoglia memento che possa confermare che quella masnada schitarrante/urlante sia davvero composta dai Crimson Glory: ma in quella posizione c’è solo la sferragliante New World Machine. Sulle forsennate urla di Black (in effetti, quel ritornello è davvero troppo semplicistico, ma il riff conquista) i nostalgici abbandoneranno in massa. E faranno male, perché subito dopo si trova uno dei punti migliori del disco. Astronomica risolleva le sorti del disco, con atmosfere orientali e Black finalmente sotto controllo: se ben controllati, quegli acuti corrosivi sanno essere molto piacevoli.
Edge Of Forever doveva essere la ballata strappacuore, ma non risulta più di un confuso rimpasto di cose già sentite: Painted Skies era tutta un’altra cosa. Se con Touch The Sun rimontano in cattedra le influenze arabeggianti, con un interessante parte vocale che a volte scimmiotta i Judas Priest, Lucifer’s Hammer si trascina sul rotolare di uno spento riff di basso e non convince affatto. The Other Side Of Midnight sembra tirata via di peso da un altro disco e da ben altri generi, ma si lascia ascoltare. L’intro di Cyber Christ è praticamente quella di Mandrake degli Edguy, se suonata da un camionista: il resto del pezzo è mediocre.
Cydonia chiude il tutto in modo soporifero, ma ben suonato. La coda, diciotto minuti (!) di comunicazioni telefoniche/radio che annunciano un avvistamento ufologico, è meglio far finta che non esista. Chiariamoci subito: non si tratta certo di un album da bocciare. Le prestazioni strumentali sono maiuscole e il signor Black non si adagia a copiare il suo predecessore, ma trova una propria e ben precisa cifra stilistica.
Proprio questo è insieme il pregio e il difetto di Astronomica. Midnight era di sicuro insostituibile e l’idea di cambiare stile appare buona, ma sorge spontanea una domanda: perché spendere tanta fatica a cercare un cantante così particolare, per poi annegare metà del suo (ottimo) lavoro con i filtri vocali? Lo spirito modernista prende il sopravvento anche sugli strumenti, che snocciolano riff pietrosi e tirano fuori di peso la band dal classico suono ottantiano. Per enfatizzare la cosa si sfrutta una produzione roca, crepuscolare, forse dovuta alla necessità di mimetizzare l’assenza di un vero batterista.
L’operazione riesce anche qui a metà: i nuovi venuti potrebbero gradire, ma per un seguace storico l’effetto è straniante. Vi sentirete come vi siete sentiti dopo The X Factor e Jugulator: sottosopra e con un gran bisogno di riordinare le idee. Per l’heavy metal, un disco molto buono. Per i Crimson Glory, molto mediocre.
Francesco Masci
Tracklist:
- “March to Glory” – 3:28
- “War of the Worlds” (Drenning, Lords) – 4:08
- “New World Machine” – 4:14
- “Astronomica” – 4:54
- “Edge of Forever” – 5:47
- “Touch the Sun” – 5:55
- “Lucifer’s Hammer” (Drenning, Lords) – 4:25
- “The Other Side of Midnight” – 4:29
- “Cyber-Christ” (Drenning, Lords) – 5:14
- “Cydonia” – 5:47