Recensione: At the Edge of Time

Di Alessandro Zaccarini - 28 Luglio 2010 - 0:00
At the Edge of Time
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Anno: 2010
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88

“At The Edge Of Time ci libera del concetto di ‘terra firma’ e ci conduce nella dimensione del tempo, dove l’immaginazione non conosce limiti, dove tutti i mondi esistono contemporanemante” (Hansi Kursch).

Al margine del tempo, ovvero a distanza degli ormai “soliti” quattro anni, i tempi sono nuovamente maturi e i bardi di Krefeld possono ritornare a raccontare le loro storie, nel loro inconfondibile stile, avvolti da quell’aura magica e senza tempo che li ha resi uno degli elementi più personali e unici del metal.

Pieghiamoci solo un attimo al concetto di tempo e facciamo un piccolo passo indietro: corre l’anno 2002 e A Night at the Opera vede la luce. Sono passati rispettivamente 4 e 7 anni dai due sublimi capolavori Nightfall in Middle Earth e Imaginations from the Other Side, una coppia di album a cui le parole non potranno mai rendere giustizia. È l’inizio di una nuova era. Per stessa ammissione di Hansi Kursch, nella direzione musicale Nightfall non si poteva fare nulla di più, ergo meglio cambiare piuttosto che riciclarsi tristemente nell’ombra di un disco che non può avere un seguito. Come dargli torto. A Night at the Opera è il disco che divide, sorprende, ma soprattutto sbalordisce e disorienta con i suoi sfarzosi arriangiamenti, le pompose linee vocali, la sua suite di 14 minuti sull’Iliade e le serrate ritmiche scaturite dal genio di Friedrich Nietzsche.

Il disco viene subito etichettato come una dimostrazione di onnipotenza – e in parte lo è – e in tanti cadono nel tranello, accodandosi al gregge di pecore insoddisfatte e lamentose di una band che non è più quella degli anni ’90.

Ora, a distanza di 8 lunghi anni – eppure sembrerebbe ieri – A Night at the Opera continua a sorprendermi, a regalarmi nuovi spunti, a farmi sentire colpevole di averlo, magari, cercato di giudicare troppo presto, troppo in fretta.  Un errore, questo, che può capitare di fare davanti dischi di questa portata. A Night at the Opera è un disco che oggi inserirei tranquillamente nella top 10 del decennio, graduatoria in cui non entrerebbe invece il suo successore: A Twist in the Myth è rimasto infatti fermo, immobile a quanto archiviato ai primi mesi d’ascolto. Bello, sapientemente composto e registrato, con un paio di capolavori sempre presenti ma con meno spunti geniali – e spesso nascosti – di A Night at the Opera.

Ecco perché sono ben contento, quindi, di trovare in At the Edge of Time molti degli aspetti che hanno reso A Night at the Opera un disco longevo e ispirato. E c’è inoltre di che festeggiare per i nostalgici: un ritono di fiamma per lo speed metal, con pezzi così diretti da rievocare da vicino il songwriting di Tales from the Twilight World. Come tra tradizione non mancano nemmeno le novità, le sorprese e soprattutto il gusto incredbile e le idee uniche che caratterizzano questa band da ormai più di due decadi.

Il disco si apre con Sacred World, una prima mini-suite di oltre 9 minuti che si sviluppa dal discorso musicale di Sacred e ci presenta un brano assai più maturo della sua progenitrice, con il discorso melodico centrale sviluppato e un pezzo arricchito nella sua complessità. Il salto di categoria dalla sua primitiva progenitrice è sbalorditivo. Ho accennato in apertura a un rinato amore per lo speed metal versione Tales. Il primo appuntamento è con Tanelorn (Into The Void) con cui i Blind Guardian rientrano a tutta velocità nei reami del campione eterno di Michael Moorcock. I repentini lead di chitarra si incastrano nella salda muratura ritmica di Frederik Ehmke. Dopo anni i bardi tornano a cantare del mondo di Eternal Champion e lo fanno con un pezzo che per certi versi è persino più diretto dei suoi antesignani, con apertura ariosa e rallentata del ritornello e l’incedere di rullante tanto caro al Thomen Stauch. Anche l’assolo, nella sua progressione armonica, ricorda da vicino i lavori degli anni ’90. Road of No Release è invece in qualche modo la prima, grande novità del lotto, con l’introduzione di quello che sarà l’elemento inatteso e inconsueto di At the Edge of Time, ovvero il piano. Una pesenza che è decisamente una sorpresa per una band che, escluso alcuni episodi isolati come The Elder, aveva sempre affidato le melodie principali alle chitarre. Il brano è un’ottima composizione che si evolve attraverso diversi degli aspetti della musica dei Blind Guardian, dai cori fastosi ed enfatici alle progressioni in palm-muting fino alle accelerazioni quasi a marcetta in due quarti. Potenza  e melodia coniugate sapientemente. Metronomo sopra i 210 bpm per Ride Into Obsession, una scheggia dalle forti influenze speed che si sviluppa veloce e spedita con il duetto tra Hansi e il coro in sede di ritornello. Tra gli episodi del nuovo millennio è probabilmente uno dei più semplici del combo tedesco, con le linee di chitarra che si contano sulle dita di una mano e una struttura armonica semplice se paragonata a quanto sentito e quanto si sentirà su questo nuovo lavoro. Uno degli aspetti più interessanti di questo album, d’altronde, è proprio la natura eclettica e imprevedibile dei suoi brani.

La serpe di Midgard può riemergere dalle acque e Yggdrasill scuotersi mettendo fine al mondo che conosciamo, ma il giorno in cui i Blind Guardian ci lasceranno senza il prodigio delle loro ballate è ancora, fortunatamente, lontano. Curse my Name è l’ennesimo gioiello di una saga che ha visto, album dopo album, veri e propri capolavori alternarsi in quella che è probabilmente la più nota e unica tradizione di ballate malinconiche e senza tempo che la storia di questa musica ci abbia regalato, giocando un ruolo fondamentale nel far guadagnare ai Blind Guardian l’epiteto di bardi. Chitarra acustica e gli elementi della musica celtica e medievale, rafforzati dall’ingresso in formazione di Frederik Ehmke, sono i componenti e motivi fondamentali e immancabili su cui si poggia questo nuovo capitolo. Valkyries è invece un brano più oscuro e– insieme al successivo Control the Divine – il momento del disco che più si avvicina al precedente A Twist in the Myth, con la cadenzata regalità della seconda a legare il combo alla dimensione musicale di questo At the Edge of Time. Gli abbellimenti acustici si intravedono tra le trame cadenzate e implacabili.

Abbiamo precedentemente fatto conoscenza con la presenza inaspettata del pianoforte, è ora il momento di godere a pieno del contributo che questo elemento può portare alla corte dei bardi – purchè non diventi un’abitudine. War of  the Thrones, nata come seconda ballata prettamente acustica – niente panico, la versione acustica è disponibile sul singolo di A Voice in the Dark – è uno tra i brani più atipici della storia dei Blind Guardian. Un capolavoro di eleganza e raffinatezza, a testimoniare quanto ci sia ancora da scoprire di questa band, anche oltre ai confini già esplorati e conosciuti. Nella stupenda A Voice in the Dark torna a germogliare il seme dello speed metal dei tempi che furono, con il vortice temporale che si fa ancora più forte di quello già notevole di Tanelorn (Into the Void). Riff principale serrato e senza compromessi, ritornello trascinante e ben scandito per un brano già presentato in tutto il suo splendore con il singolo uscito a fine giugno. Se volete la purosangue Blind Guardian dell’album, eccola qui.

Chiude il lotto Wheel of Time, una nuova mini-suite che potrebbe tranquillamente essere un disco a parte per le idee che ingloba ed evolve con la sua andatura mediorientale e scelte armoniche per certi versi sorprendenti. Avrebbe dovuto far parte del disco orchestrale ma più la composizione procedeva e più il brano si allontanava dallo schema dell’album. Fortunatamente è stata riadattata in chiave metal e inserita in At the Edge of Time, dove splende di epica luce, nel suo turbinio di chitarra, nell’esplosione del ritornello e nei suoi toni imponenti e solenni, quasi da colonna sonora.

A distanza di ricchissimi 64 minuti, da riascoltare e riascoltare, assaporare e studiare quasi filologicamente, l’attesa è stata ancora una volta ripagata con la moneta più rara e ambita del regno: la qualità. La prestazione d’insieme è ancora una volta sublime e peculiare, con il consolidatissimo binomio Kursch-Olbrich a ribadire l’unicità di questa band, ispirata e retta dalle loro idee. Genio e gusto sono ancora una volta le parole chiave di una formazione che si è davvero saputa astrarre da spazio e tempo come pochi altri. A parere di chi scrive At the Edge of Time giace sì un gradino sotto A Night at the Opera, ma al di sopra del suo diretto predecessore A Twist in the Myth. Questo è oggi. Chissà domani. E chissà tra altri 4 lunghi anni, quando, come avventurieri della musica, i Blind Guardian varcheranno nuovi confini…
 

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini


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Tracklist:
01. Sacred Worlds (9:17)
02. Tanelorn (Into the Void) (5:58)
03. Road of No Release (6:30)
04. Ride into Obsession (4:46)
05. Curse My Name (5:52)
06. Valkyries (6:38)
07. Control the Divine (5:26)
08. War of the Thrones (4:55)
09. A Voice in the Dark (5:41)
10. Wheel of Time (8:55)

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