Recensione: At The Sight Of The Apocalypse Dragon [Reissue]

Di Alessandro Cuoghi - 2 Giugno 2010 - 0:00
At The Sight Of The Apocalypse Dragon [Reissue]
Band: Midvinter
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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83

La capacità di fondere stili musicali apparentemente distanti è una dote compositiva difficile da trovare e che spesso ha contrassegnato il successo, quello vero, di band divenute col tempo capisaldi di generi e correnti musicali.
A volte, tuttavia, l’attenzione del pubblico e delle case discografiche prende direzioni che definire “sicure” risulta quantomeno eufemistico.
Questo è il caso dei Midvinter, gruppo svedese attivo dal 1993 ed artefice di “At The Sight Of The Apocalypse Dragon“, uscito nel 1997 sotto la supervisione del famoso axeman Andy LaRoque (King Diamond, ex Death), passato pressoché inosservato e riesumato ben 12 anni dopo dalla Frostscald Records.

L’album pur essendo targato 1997 ed uscito in contemporanea con capolavori del calibro di “Enthrone Darkness Triumphant” (Dimmu Borgir) ed “Anthems To The Welkin At Dusk” (Emperor), comprende brani scritti sin dal 1994, alla cui realizzazione hanno preso parte Damien Midvinter (leader e polistrumentista della band), precedentemente attivo negli svedesi Apollgon; Kheeroth e Zathanel, rispettivamente ex cantante e bassista dei blasfemi Setherial; oltre ad alcuni membri provenienti dai Naglfar, tra cui l’axeman Andreas Nilsson.
Il sound del disco sembra essere il risultato della commistione di stili musicali marcatamente differenti, dove il Raw Black di stampo darkthroniano non disdegna la presenza di tastiere, armonizzazioni melodiche e clean vocals. Prendono così vita brani di durata principalmente elevata (siamo in media sugli 8 minuti a canzone) caratterizzati da una miscela sonora violenta ed orecchiabile al tempo stesso.

Ogni singolo pezzo del disco sprizza personalità e classe, riuscendo nell’ardua impresa di suonare “diverso” ed a suo modo unico in un lavoro tutto sommato coeso.

Sin dalla lunghissima opener “Dödfödd” (Nato Morto) gli intenti compositivi della band risultano chiari: creare vere e proprie mini opere musicali dove poter concentrare in modo coscienzioso varietà stilistica, melodia ed impatto sonoro. L’orecchiabilità, quasi sempre presente, correda infatti in ugual misura le violente sfuriate e le aperture più ponderate, mentre nei quasi nove minuti del brano vengono snocciolati una gran quantità di riff di buona caratura.
Da notare infine la somiglianza del primo giro di chitarra con il celeberrimo incipit di “Transilvanian Hunger” dei succitati Darkthrone.

Pesanti sfumature Viking emergono invece nella seconda ottima canzone del disco, “All Things To End Are Made“, aperta in modo maestoso da un coro di bathoriana memoria. La traccia risulta di nuovo estremamente varia, fra furenti cavalcate distorte e down-tempo arpeggiati.

Passata questa pregevole parentesi vichinga il gruppo decide di virare verso sonorità decisamente più violente con “Moonbound“, a parere di chi scrive, la traccia più riuscita e stupefacente del platter.
Introdotta da un riff di prima scuola Mayhem e da un urlo da far impallidire gli estimatori del Depressive più angosciante, la canzone mostra appieno le capacità della band: Raw Black puro e trita ossa sparato in faccia senza remissione, tastiere che paiono prese in prestito dal capolavoro “In The Nightside Eclipse” degli Emperor, latrati sofferenti in stile Burzum e, a sorpresa, un cambio radicale di sonorità a circa un terzo del brano, dove una malinconica melodia ed un sound pseudo-Goth ci accompagnano verso la conclusione: una speculare violentissima cavalcata ripresa dall’inizio e conclusa dal riff che ne aveva aperto le danze.

Procedendo con l’ascolto del disco si denota in maniera sempre più chiara quello che forse è il più grande pregio ed al contempo difetto della band, cioè la mancanza di uno stile musicale definito: le molteplici influenze che caratterizzano il poliedrico sound dei Midvinter potranno infatti far storcere il naso a più di un purista del settore.
Ben inteso, il gruppo rimane ancorato saldamente alla denominazione di Black Metal, evitando azzardi, quali uso di basi elettroniche o qualsivoglia sperimentazione Avantgarde di più o meno facile assimilazione e garantendo un prodotto che scorre bene e resta piuttosto fedele alle linee guida gettate dai primi brani.

Data la capacità di fondere stili differenti e data la provenienza della band, sembra a questo punto impossibile che una seppur fuggevole relazione col Death Metal melodico non emerga fra i solchi del disco, ed infatti ecco che un’altro ottimo brano, “Ett Liv Förnekat” (Una Vita Negata), viene introdotto da riff armonizzati similmente a quel Gotheborg Style che ha fatto la fortuna dei compatrioti In Flames, Dark Tranquillity ed At The Gates.

A conclusione del disco troviamo il brano più corto (3:16), “De Vises Hymn” (L’Inno Del Filosofo), che pur assestandosi su buoni livelli di songwriting non raggiunge per complessità ed espressività gli episodi di cui si è discusso in precedenza. L’epica outro (che a dire il vero avrebbe probabilmente funzionato meglio come intro) è posta alla fine del pezzo, non risultando almeno in tracklist come una canzone a sé stante.

A ragion veduta quello che ci viene presentato è un album estremamente ricco di sfaccettature e valore, che pesca a piene mani dal fertile fiume del Metal nord Europeo e che, volendo andare a trovare il pelo nell’uovo, vede come i propri maggiori difetti l’elevata durata dei brani, che a volte può risultare frustrante, e la mancanza di un vero e proprio filo conduttore stilistico, che spiazzerà più di un ascoltatore.
Detto questo è d’obbligo sottolineare come questi presunti difetti ricoprano anche il ben più soddisfacente ruolo di pregi. La durata elevata dei brani è infatti il risultato della gestione ponderata di un’eccezionale varietà compositiva, capace, assieme alla classe della maggior parte dei riff, di mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore, che imparerà ad aspettarsi un cambio inaspettato o una curiosa soluzione musicale in agguato dietro ogni “angolo” del disco.

Insomma, sicuramente i Midvinter hanno seminato di più di quanto hanno potuto raccogliere, a questo punto non rimane che guardare al futuro, sperando in una maggior attenzione da parte di case discografiche e pubblico.

Alessandro Cuoghi

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Line Up

Damien Midvinter: guitars, bass, keys, vocals
Kheeroth: vocals
Zathanel: drums

 

TRACKLIST

1. Dödfödd
2. All Things to End Are Made
3. Moonbound
4. Hope Rides On Devil Wings
5. Dreamslave
6. Nocticula in Aeternum / Of Night Primeval
7. Ett Liv Förnekat
8. De Vises Hymn

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