Recensione: Atlantis
I tedeschi Atrocity sono, per loro intima natura, il gruppo che forse
rappresenta meglio in campo metal il concetto di “ruffianeria”: non
che la cosa debba per forza assumere un’accezione negativa, ma è un dato di
fatto che la band si sia sempre contraddistinta per un costante cambiamento
delle proprie coordinate musicali, che a volte disorientava decisamente i propri
fans, arrivando a spiazzarli con trovate decisamente discutibili.
Questo se vogliamo parlare di esperimenti francamente opinabili come l’EP Werk
80 e lavori come Non Plus Ultra: album che avvicinavano il
combo alla tendenza tanto in voga nel gothic tedesco vero e proprio, quella
dell’immaginario S/M esposto in modo abbastanza pacchiano e soluzioni musicali
spesso troppo esili. Bene, con Atlantis gli Atrocity
riescono a spazzare via molti dei dubbi sulle loro capacità compositive, senza
per questo però dissipare i sospetti sulla sincerità della loro offerta.
Atlantis è infatti un album ambizioso, basato concettualmente sul continente
scomparso da cui prende il titolo, che ci viene oltretutto presentato anche in
una versione multimediale davvero completa, con mp3 di ogni singolo pezzo
accompagnati da contestualizzazioni all’interno del concept ed ovviamente dai
relativi testi. Ma musicalmente? Beh, per quanto riguarda quell’aspetto la cosa
da rilevare immediatamente è il ritorno del combo a sonorità che sono
indubbiamente riconducibili al metal, con chitarre e batteria in bell’evidenza,
sfociando in un gothic metal molto robusto e di strutture semplici,
“commerciabili” ma allo stesso tempo non eccessivamente banali. La
voce di Alex Krull torna a graffiare e graffiarsi, specie nei pezzi
relativamente aggressivi come Ichor, ed a liberare tutte le proprie
velleità melodiche nei ritornelli, da sempre punto di forza delle loro
composizioni.
La base death metal, annacquata quanto volete, è comunque ben presente nelle
menti dei 5 musicisti, e sorregge quasi tutte le canzoni: anche le più
immediate, come la bella Enigma: siamo qui di fronte ad un gothic che va
ad unire idealmente certi Moonspell, gli ultimi Theatre of Tragedy ed i Paradise
Lost di Draconian Times… il tutto in una canzone semplice, ma del tutto
azzeccata. Ed è giocoforza che i momenti più interessanti risiedano negli
episodi più easy-listening: il singolo Cold Black Days, dove
l’elettronica ha un’importanza ancora maggiore che nel resto della tracklist, ne
è un esempio lampante. Ma allo stesso tempo quando il gruppo decide di giocare
al death metal riesce a non sfigurare, ricordando ai nostalgici qualcosa dei
primi tempi della loro carriera (è Morbid Mind, pezzo robusto, che si
assume il ruolo di amarcord).
Siamo di fronte quindi ad un disco che avrebbe potuto essere di tutt’altro
spessore, e guadagnare non pochi punti, se la band si fosse curata meno delle
sue probabilità di successo, sinceramente: gli Atrocity non sono una
band di ragazzini, sanno bene che temi impegnativi, per quanto di base
fantastica, come quello di Atlantide e dei suoi riscontri storici/archeologici
avrebbero potuto essere trattati in tutt’altro modo sul piano musicale; ma
trovano con quest’album l’ideale compromesso tra “pezzo carino” e
“concept interessante”, senza per questo apparire diversi da coloro
che pubblicavano svariati annetti fa un EP intimista e toccante come Calling
the Rain. A voi in sostanza decidere se il bicchiere è mezzo pieno o
mezzo vuoto: inutile ricamare su un disco formalmente perfetto per un certo tipo
di utenza, ma che sicuramente avrebbe potuto mirare a qualcosa di più.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Reich of Phenomena
2. Superior Race
3. Gods of Nations
4. Ichor
5. Enigma
6. Morbid mind
7. Omen
8. Cold Black Days
9. Atlantean Empire
10.Clash of the Titans
11.Apocalypse
12. Lost Eden
13.The sunken paradise
14.Aeon
15.Ein volk
Traccia multimediale: Cold Black Days – videoclip