Recensione: Atlantis
Ad ascoltare questo album senza sapere i dettagli avremmo detto fosse uscito nel ’79 o giù di lì…
Invece “Atlantis“, nuova opera degli inglesi Cats In Space, è stato pubblicato nel 2020 appena trascorso da una band, tra l’altro, relativamente recente.
Andiamo per ordine: i Cats In Space si sono formati nel 2015 Horshamn in Inghilterra e sono dediti ad un hard rock melodico/AOR con sonorità tipiche della fine degli anni ’70 ed i primi ’80, molto vicine a band come Survivor, Sweet, Queen, Boston e Journey.
Nonostante siano attivi da soli cinque anni, i componenti sono comunque musicisti rodati: infatti il chitarrista Greg Hart, fondatore insieme al batterista Steevi Bacon, ha alle spalle una militanza con artisti come Moritz, If Only e GTS: forte delle esperienze passate, è poi tornato alla carica con questo suo nuovo progetto.
Dopo la pubblicazione dei primi tre dischi, i Cats In Space si separano dal vocalist Paul Manzi, il quale va ad unirsi ai leggendari Sweet: al suo posto viene reclutato Damien Edwards, singer con un passato in diversi spettacoli teatrali, assoldato giusto in tempo per dare alle stampe il recente “Alantis“.
Come accennato poco fa i “gatti nello spazio” propongono un arena rock, molto immediato ed orecchiabile, tipo quello che passava spesso alla radio verso la fine degli anni ’70-primi ’80 e non di rado anche in colonne sonore di film dell’epoca. Il tutto condito con sonorità e arrangiamenti tipici di quel periodo, tanto da sembrare veramente un prodotto risalente a quegli anni.
Il platter si apre con “Dive“, strumentale di due minuti che precede “Spaceship Superstar“, ed è subito un salto negli anni ’70 con un brano diretto che nella sua semplicità fa subito presa sull’ascoltatore, così come la successiva “Revolution” dove un hard rock energico ma mai troppo aggressivo e con la melodia in forte risalto, evidenzia l’ottimo songwriting della band. Scandita da una ritmica di piano dal sapore ragtime (da non confondere con il reagge) “Sunday Best” è un pezzo molto valido che ricorda i Queen. Sull’assolo addirittura pare di sentire la Red Special di Brian May, mentre la successiva “Listen To The Radio” come suggerisce il titolo, è un brano pop rock radiofonico con una melodia orecchiabile ed un ritornello di quelli che ti si stampano in testa e ti fanno venir voglia di cantare a squarciagola (anche se sei stonato come una campana).
“I Feel Out Of Love Whith Rock N’Roll” è una ballad sulle stile musical teatrale per certi versi vicina a Meat Loaf : spiccano le qualità vocali del nuovo arrivato Edwards.
Tutte le canzoni vengono proposte in stile retrò, ad omaggiare il pomp rock AOR anni ’70 grazie a suoni e soluzioni che al giorno d’oggi potremmo definire d’epoca (provate ad ascoltare l’attacco di tastiere iniziale di “Season Change” solo per fare un esempio). Una scelta che però non risulta mai fuori luogo, anzi: le varie tracce di questo lavoro irradiano lo stesso fascino vintage di una Giulietta del ’77 che sfreccia sulla strada dando la polvere ai modelli di macchine più recenti.
“Marionettes” la si può considerare un po’ la ”suite” di “Atlantis” (effettivamente con i suoi 5 minuti e mezzo circa è la canzone più lunga di questo lavoro): inizia con il solo piano ad accompagnare la voce per poi assumere una andatura più cadenzata, via via arricchita dall’entrata in scena degli altri strumenti. Accelerando ancora nella seconda parte, lascia poi spazio ad un paio di cambi di tempo, per sfumare nel finale. Arricchisce il valore del pezzo un’altra buona prova vocale di Damien Edwards il quale, forte del suo passato di recitazione, riesce ad impregnare di teatralità le note interpretate.
Il riff di chitarra aggressivo di “Queen Of The Neverland” per i primi secondi fa quasi pensare ad un brano dal piglio più moderno: neanche questa volta la band cede alla tentazione e ci troviamo immersi di nuovo nelle atmosfere seventies di un bel momento hard rock arricchito da coretti alla Queen. “Magic Love Feelin’” invece è un altro potenziale singolo radiofonico dalle sfumature “Bostoniane” laddove una chitarra elettrica duetta con una acustica, mentre la ballad “Can’t Wait For Tomorrow” non avrebbe stonato su uno dei vecchi dischi degli Uriah Heep.
Infine la title track “Atlantis“, che con il suo andamento lento e riflessivo ci conduce all’epilogo di questa nuova opera della formazione britannica.
Sicuramente un buon lavoro quello proposto dai Cats In Space, band dalle grandi qualità e composta da musicisti esperti che ci propongo un piacevole ed ispirato arena rock che spazia in melodie pop e suggella un prodotto di classe non comune.
Se siete dei nostalgici dei vecchi lavori di Journey e Boston la prossima volta che andate a far compere in qualche negozio di dischi non dovrete più limitarvi a scartabellare fra i vinili di 40 anni fa. Date piuttosto un’occhiata fra le nuove uscite e se trovate i Cats In Space fidatevi che andate sul sicuro.
Musica di qualità, da far ascoltare magari anche alle “nuove leve” cresciute con Amon Amarth e Blind Guardian: in fondo è difficile restare indifferenti alle melodie, magari un po’ ruffiane, ma sicuramente di grande impatto, offerte dalla formazione inglese.
Una proposta musicale fortemente ancorata agli anni 70/80 che non ha nel suo aspetto “vintage” e demodè un potenziale difetto. Anzi, rappresenta la prova evidente di come per realizzare dischi validi non serva per forza cercare l’innovazione a tutti i costi.
A volte può essere sufficiente ripescare un po’ dal passato.