Recensione: Atlas
Pazzi, questi Fear of Domination.
Perché?
Perché incuranti di mode e sterili catalogazioni, conducono a tutta forza il loro progetto musicale per la loro strada maestra. Senza tentennamenti e/o indecisioni di sorta. Nella totale consapevolezza dei propri mezzi e dell’unicità di un sound che fa capo al melodic metalcore, ma non troppo.
Fra travestimenti ed eccessi visivi in sede live e suono esplosivo, dirompente, a tratti quasi esagerato nella proposizione di clamorosi ritornelli ultra-melodici, nasce “Atlas”, quarto full-length di una carriera cominciata nel 2009 in quel di Nurmijärvi, in Norvegia.
Difatti, nel panorama attuale del metallo oltranzista, non è facile trovare qualcuno che suoni in maniera paragonabile ai Nostri. A volte pare essere preponderante la componente industrial, a volte quella cyber (‘Carnival Apocalypse’, spettacolare nel suo dirompente tiro), a volte quella melodic death metal, a volte, addirittura, il melodic thrash metal (Amsterdamned Hellsinki).
A volte, infine, ultimo ma non ultimo, il gothic. Un guazzabuglio d’influenze che, incredibilmente, i Fear of Domination, dall’alto della loro… pazzia, riescono a tenere assieme in un unico filo conduttore. Il quale, ben teso lungo le dieci song di “Atlas”, danno vita a un insieme compatto e coeso, ma dannatamente vario.
Difficile annoiarsi durante l’ascolto della fenomenale ‘Divided’, dal refrain che rigenererebbe anche un cadavere stantio, come del resto è dura restare indifferenti al travolgente, rutilante attacco di ‘Primordial’, che rammenta un pochino, ma solo nel flavour, gli Stained Blood Child. Ovviamente da cappottamento cerebrale il chorus, sottolineato dall’acida e scabra ugola del fenomenale vocalist Saku Solin. Sostenuto perennemente, ed è qui che – a parere di chi scrive – l’ensemble scandinavo azzecca la quadra, dal lavorio alla tastiere di Lasse Raelahti.
Fear of Domination che, oltre alla melodia, mettono in campo, quando occorre, una bella dose di cattiveria e aggressività (‘Colossus’), una sferzata di belluinità disegnata sul muraglione di suono eretto dalle chitarre di Johannes Niemi e Jan-Erik Kari, capaci di mettere assieme forza bruta e classe solista.
Ma, come ancora una volta mostra inequivocabilmente ‘El Toro’, il talento dei Fear of Domination è quello di tirar fuori dal cilindro ritornelli assolutamente memorabili e accattivanti ai massimi livelli, pur non risultando mai stucchevoli, o ridondanti o, peggio ancora, scolasti, precotti. L’athemico, durissimo, scandito bridge di ‘Messiah’ è lì, a portata di tutti, per avvallare la suddetta ipotesi.
Un talento compositivo raro che, si spera, i sei strani figuri norvegesi, non perdano per strada per poter regalare, a tutti i fan del metal estremo ma non solo, chicche di gioiosa originalità come “Atlas”.
Bravissimi!
Daniele D’Adamo