Recensione: Atmospheres of Desolation

Di Daniele D'Adamo - 24 Gennaio 2019 - 16:17
Atmospheres of Desolation
Band: Noctambulist
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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65

Dagli Stati Uniti d’America, inarrestabile, l’onda di piena che trasporta sulla sua cresta nuove band dedite al metallo della morte non accenna a decrescere di altezza e nemmeno d’intensità. È la volta dell’orrida creatura chiamata Noctambulist, ora. La quale, nata nel 2016, stampa subito senza passare dal via il debut-album, “Atmospheres of Desolation”.

Non appena fanno capolino le prime note dello stridente intro ‘Dimming Lights Illuminate’, si intuisce immediatamente che, benché il full-length sia la loro prima messa a giorno, i Nostri non costituiscono un embrione in fase formativa bensì, al contrario, danno l’idea di non essere affatto di primo pelo. Circostanza che emerge osservando il curriculum di ciascuno di essi, ricco di esperienza (Despise the Sun, Skinned, Vomit God, Nephrectomy, Nicaraguan Death Squad, Berated) anche se, ovviamente, si tratta sempre e soltanto di puro underground.

Underground cui vive, sepolta da cumuli di ossa umane, il feroce quartetto con base a Denver. Del resto, l’intera struttura del sound di “Atmospheres of Desolation” è mirata, proprio, a stipare nelle grotte sotterranee più nascoste il quartetto medesimo. Un ambiente di vita o, meglio, un ambiente di non-vita perfetto per scatenare la bestia.

Bestia che si configura come death metal brutale, apparentemente rozzo e involuto, violento, dai toni tetri e oscuri. Ricco di dissonanze, pieno, potente, dall’andamento devastante. Come uno tsunami nero che travolge e rade al suolo qualsiasi cosa. Il mood sa un po’ di doom, anche, ma solo per delineare un umore nichilista, asociale, avulso dalla banalità e tristezza della vita reale.

I Noctambulist vivono un’esistenza che rifugge la luce per adombrarsi di un sound che pare lasci in bocca dei coaguli di terra marrone scuro, amara, a mano a mano che scorrono le song. La chitarra di Andreas Tee cuce riff convulsi, disarmonici, enormi nella loro quantità e complessità; forse troppo insaccati in una produzione che, sì, dà l’idea della distruzione totale delle membra ma che, a volte, appare un po’ confusionaria. Micidiale il drumming di Michael Nolan, implacabile, inarrestabile, capace di rabbiose decelerazioni e folli impennate di velocità oltre la barriera dei blast-beats. Molto importante nell’economia del suono del combo del Colorado è il basso del misterioso R.H., quasi inintelligibile ma foriero di uno spesso tappeto le cui trame sono linee rombanti, piene, perfette per tappare, se così si può dire, i buchi lasciati dal riffing. Buono il roco growling di Sean McConnell, anch’esso perfetto per la bisogna pur avendo un aspetto identico a tanti altri, anche quando, a volte, il cantato diviene una sequenza di urla sguaiate.

Ecco, allora, che emerge il difetto principale insito nel gruppo: uno stile piuttosto anonimo, difficile da riconoscere in mezzo a tanti altri. Beninteso, i brani presentano tutti, nessuno escluso, l’identico soffio mortale che funge da filo conduttore tipologico da ‘Abnegation’ ad ‘Habitual Falsehood’. Con che viene dimostrata la bontà di un ensemble che sa dove andare. In alcune occasioni, poi, come nella già citata closing-track ‘Habitual Falsehood’, si scatena la trance da hyper-speed, stato mentale sublime che si genera solo quando i BPM raggiungono valori elevati senza che l’energia sonora venga meno. Una terrificante mazzata sulla schiena, insomma.

Quindi, non resta che consigliare “Atmospheres of Desolation” agli appassionati del death metal arcaico – non vecchia scuola, attenzione – , quello, cioè, che risale ai primordi della furia demolitrice del metal estremo. Death metal arcaico violentissimo, però, di quello che ammazza tutto e tutti, senza distinzioni di sorta.

Total destruction.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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