Recensione: Aurora
Un prodotto davvero di nicchia ma notevolissimo quello dei londinesi Litmus, band che può essere classificata genericamente nella macrocategoria hard rock, ma che in realtà presenta una affiliazione molto più evidente con stilemi poco frequentati e lontani dalla consuetudine, come lo Stoner, ma soprattutto lo Space Rock, corrente musicale inafferrabile e poco frequentata, fatta di suoni dilatati e strutture dei brani al limite della jam session, che ha nei celeberrimi Hawkwind i prime mover assoluti di maggior rinomanza.
Edito da Rise Above Records (non a caso, label di Lee Dorrian), “Aurora” è il terzo passaggio sulla lunga distanza per i britannici. Un “trip” lungo ed articolato che si dipana attraverso otto tracce dal minutaggio robusto, cui non difettano suggestioni psichedeliche e visioni da spazio profondo, supportate da un immancabile tappeto di suoni sintetici che, come una sorta di vento astrale, sibila costantemente in secondo piano, sottolineando un chitarrismo dagli accordi ribassati, ed uno stile vocale a tratti declamatorio e sfuggente.
Atmosfere liquide ed armonie talora stordenti, lasciano tuttavia agli ampi svolazzi strumentali disseminati lungo l’intero percorso dell’album, il compito di marcare a fondo la proposta dei Litmus, ponendo in evidenza un gusto per trame lisergiche e soluzioni dal potere descrittivo davvero pregevole.
Lunghi ed avvolgenti, sono in effetti, episodi come “Beyond The Sun”, “Miles Away”, “Ma:55oN Rift” (che dal titolo un po’ ricorda le prime release degli eroi dell’elettronica Tangerine Dream) e più di tutti, “Kings Of Infinite Space”, a stimolare l’inventiva dell’ascoltatore, conducendolo in un mirabolante viaggio fantastico attraverso rilucenti supernova ed imponenti costellazioni, descritte brillantemente da un riffing costante e lineare in cui si incastonano suoni e rumori generati da sintetizzatori ed onnipresenti tastiere. Le trovate melodiche poi, pronte a materializzarsi d’improvviso a mutare cadenze incalzanti ed ipnotiche, contribuiscono ad implementare le doti di fascino “alieno” dei brani, conferendo al disco un’aura dai contorni mistici ed evocativi del tutto seducente.
Le valide scelte in sede di produzione, ed un gusto per il songwriting assolutamente settantiano, che come detto, chiama in causa senza possibilità d’errore gli Hawkwind (privi però, dei fiati), ma che di tanto in tanto non manca di far riferimento ai Monster Magnet di “Dopes To Infinity” – per certo uso delle keys – ed ai Voivod – nelle ritmate navigazioni interstellari intitolate “Stars” (per l’appunto) e “In The Burning Light” – chiudono il cerchio di un’opera unica nel suo genere. Necessarie, per poterne godere al meglio, una predisposizione accentuata per digressioni musicali di tale peculiarità e buone dosi d’audacia unite ad un po’ di pazienza, tributo basilare nel porsi all’ascolto di brani dal profilo tanto indefinibile e fuori degli schemi.
Visioni lunari, viaggi ai confini dello spazio, suoni sopraggiunti da profondità inesplorate.
Un’esperienza atipica e carica di fascino, che con “Aurora”, sarà possibile assaporare comodamente sprofondati in poltrona, utilizzando come unico veicolo, null’altro che la propria fantasia.
Di certo riservati ad un pubblico circoscritto di amatori, i Litmus con questo terzo album si pongono dunque nel rispettabilissimo ruolo di leader di una scena minima ma significativa come quella dello space rock, ripresentando tutti i canoni specifici e le migliori caratteristiche del genere, spinti alla massima potenza espressiva.
Un piccolo gioiello, che non potrà non meritare un attento ascolto da parte degli appassionati e di tutti coloro che si dicano attratti dal sottile ed accattivante potere magnetico del rock “spaziale” e fantascientifico.
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Tracklist:
01. Beyond The Sun
02. In The Burning Light
03. Eos
04. Miles Away
05. Stars
06. Kings Of Infinite Space
07. Ma:55oN Rift
08. Red Skies
Line Up:
Fiddler – Chitarre / Voce
Marek – Batteria / Voce
Martin – Basso / Voce
Oli – Tastiere / Synth
Anton – Synth