Recensione: Automaton
“Vai alla grande oppure resta a casa!” Questo pare essere stato il motto, almeno stando alle note che accompagnano quest’uscita, con cui gli svedesi Crashdïet hanno dato vita alla loro avventura iniziata nel lontano 2000.
Negli ultimi due anni a causa del covid a casa ci saranno rimasti anche troppo, quindi adesso pare essere il momento giusto per ripartire alla grande con un nuovo lavoro. Ecco quindi “Automaton”, il sesto sigillo della discografia targata Crashdïet e secondo con Gabriel Keyes alla voce, aggiuntosi agli storici London, Young e Martin Sweet che dopo la tragica dipartita del leader e fondatore Dave Lepard hanno preso in mano il timone della band per farle proseguire la navigazione. Navigazione che è stata tutt’altro che facile contando le vicissitudini, i cambi di formazione inaspettati e le scarse finanze che negli anni hanno insidiato la rotta del gruppo scandinavo.
Si sa che gli svedesi discendono dagli antichi vichinghi, e al mare impetuoso ci sono abituati: eccoli così approdare imperterriti ad un nuovo album.
“Automaton” è un titolo che mette in chiaro le intenzioni dei Crashdïet: come un automa che non prevede il fallimento, la band va dritta per la sua strada fino a compimento della missione, consistente nello spararci addosso undici tracce di hard rock fiammeggiante.
Si parte con la title track, praticamente un intro di pochi secondi dove fra i feedback di chitarra ad un tratto spunta una registrazione della voce del compianto Dave Lepard a scandire un “motherfukers” con cui pare voler dare un suggestivo saluto dall’aldilà ai fans. Di seguito una scarica di batteria annuncia “Together Whatever“, prima composizione di questo nuovo lotto: il pezzo parte subito in quarta con i motori spianati in una coinvolgente party song con riff immediati e strofe da urlare a squarciagola. Contando che, a parere di chi scrive, uno dei punti deboli degli album dei ‘Diet è sempre stata la traccia di apertura, in questa nuova fatica si inizia già con il piede giusto. Il brano inoltre anticipa l’uscita del disco di qualche settimana con un videoclip in cui filmati amatoriali ripercorrono storia e personaggi passati nelle file della band. Un’idea certamente stra-abusata, ma che se accompagnata ad un motivo indovinato fa sempre il suo bell’effetto.
Si passa così a “Shine On“, un’altra composizione senza scrupoli dove Sweet e soci mescolano suoni rabbiosi a melodie avvincenti, mentre Keyes sfodera un’esibizione graffiante e rabbiosa. Infine si segnalano nel corso del brano delle brevi ed inedite incursioni di suoni synth che non stonano affatto ma anzi, danno più versatilità al sound senza snaturarne l’essenza. “No Mans Land“, è invece l’altra anteprima disponibile già da qualche mese. La composizione ha una struttura fatta di melodie meno scanzonate, sostenute da chitarre granitiche a conferma dello stato di grazia dimostrato finora. “Darker Minds” è una semi ballad emotiva, ricca di armonie vocali a dimostrare come i Crashdïet sappiano giocare bene anche con gli episodi più melodici. L’ideale per concederci di tirare il fiato prima di riprendere la corsa.
Un attacco simile a quello di “Anarchy” – da Savage Playground del 2013 – apre “Dead Crusade“, brano che ben presto si rivela il più pesante del disco grazie ad un riff di chitarra martellante ed una batteria sincopata. Le giuste atmosfere con cui i quattro musicisti affrontano l’oscuro tema dell’aldilà.
“Powerline” torna su territori più melodici, con un hard rock dalle armonie di facile ascolto dove Gabriel Keyes si confronta in un avvincente duello con Michael Starr degli Steel Panther, qu in veste di ospite.
“Ressurection Of The Damned” ripropone il lato più stradaiolo e graffiante della band, con uno sleaze metal in cui le chitarre pescano anche da un certo heavy più classico. Su “Die Hard” ci si assesta sul mid tempo con un ritornello un po’ anthemico e delle belle melodie malinconiche su cui emerge un buon assolo di Sweet. La canzone in questione trasuda sapori pop metal che richiamano alla mente i Reckless Love di H. Olliver Twisted, già vocalist degli stessi Crashdïet sul secondo disco “The Unattractive Revolution“.
Ancora atmosfere tenebrose su “Shell Shock“, un altro mid tempo dall’andamento cupo e opprimente intervallato da un ritornello rabbioso in cui tornano ad affiorare dei suoni synth prima di passare all’hard rock coinvolgente di “Unbroken“. Un altro inno con interessanti giri di chitarra, melodie vocali accattivanti ed una ritmica galoppante per quella che la band dichiara essere un’ode ai ribelli.
Si giunge così al pezzo di chiusura. “I Cant’Move On (Without You)“, una ballad emozionante che inizia con una chitarra acustica cui si aggiungono gli altri strumenti nel finale. Una composizione risalente al 2007, dimenticata poi in qualche cassetto e rispolverata per l’occasione, con cui i Crashdïet si congedano mostrando il loro lato unplugged.
Un buon lavoro per i rocker svedesi che con “Automaton” cominciano a risalire la china dopo i guai che ne hanno spesso minato il percorso. Chissà che finalmente non abbiano trovato con Gabriel Keyes la stabilità che era sempre stata vacillante dietro al microfono: a tal proposito non si può far a meno di notare il logo dei Crashdïet che il biondo singer sì è fatto tatuare sul dorso della mano, quasi a voler sancire una sorta di giuramento di fedeltà alla causa della band.
Speriamo sia effettivamente così…