Recensione: Awaken The Fury

Di Stefano Ricetti - 19 Gennaio 2024 - 10:00
Awaken The Fury
Band: Overlorde
Etichetta: No Remorse
Genere: Heavy 
Anno: 2023
Nazione:
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62

Gli ingredienti per fare bene parevano esserci tutti: la curiosità suscitata da un’attesa lunga ben nove anni dal loro ultimo vagito discografico ufficiale, una copertina azzeccatissima e molto ben riuscita a opera del compatriota Daniele Gay, un titolo che è tutto un programma ma soprattutto l’aspettativa fornita dal fatto di avere a che fare con una band con i controcolleoni, di quelle giuste nate nel momento giusto, il 1985.

Ma… c’è un ma grande se non come una casa quantomeno come un villino unifamiliare senza pretese.

Gli americani Overlorde dopo il solidissimo Return of the Snow Giant del 2004 avevano creato parecchio interesse in torno a loro fra le schiere dei die hard fan ed è quindi normale che il successore godesse dei favori del pronostico. Pubblicato dalla greca No Remorse Records, Awaken The Fury si accompagna a un bel libretto di sedici pagine con tutti i testi sovrascritti a immagini che richiamano la copertina e con le due centrali ad appannaggio di quattro foto dei singoli componenti la band. Quello che salta sin da subito all’occhio è che della line-up del disco precedente sono rimasti i soli John “Kong” Bunucci (basso) e il chitarrista Mark “M.E.” Edwards. Nessuna traccia di Bobby “Leather Lungs” Lucas, cantante passato ai connazionali Attacker. Al suo posto vi è l’ex Zandelle George Tsalikis mentre alla batteria George Janeira ha rimpiazzato Dave Wrenn.

Dieci tracce per poco meno di un’ora di fruizione, questo propone il menu del complesso del New Jersey. Ma nonostante più e più passate Awaken The Fury segna il passo: se la title track insieme con “Ashes” e “Hammer Strike” costituiscono discreti episodi di puro US heavy metal, gli Overlorde franano fragorosamente lungo le note di “Destroy Us All” e sulla successiva “Gargoyles”, nettamente al di sotto degli standard. Il resto delle tracce si barcamena e nulla di più, sostenuto dal basso pulsante e sempre in massima evidenza di Bunucci ma non basta per spiccare per davvero il volo dal momento che lo stesso cantante ci mette del suo forzando oltremisura spesso e volentieri, volendo strafare, andando fastidiosamente fuorigiri.

Sia chiaro, non è tutto da buttare, anzi. Qualcosa di buono c’è, come sottolineato sopra. Ma molto probabilmente i cambi di line-up non hanno giovato all’economia della band, complici anche dei suoni all’insegna della mediocrità. Sta di fatto che per tornare ai fasti di Return of the Snow Giant si dovrà necessariamente attendere il successore di questo Awaken The Fury.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

 

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