Recensione: Awakening the Dream

Di Luca Palmieri - 11 Giugno 2007 - 0:00
Awakening the Dream
Band: Gwyllion
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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84

Il Belgio non è mai stato famoso per la sua tradizione metal. Ed è sempre un piacere scoprire che da tale inesperienza ne esce fuori una band con delle potenzialità davvero grosse. I Gwyllion sono una realtà che nasce poco più di tre anni fa dalla volontà di tre fratelli, Martijn, Wouter e Joris Debonnet, che reclutano come cantante Annelore Vantomme (ex-Sphinx) e il bassista Thomas Halsberghe. Questi giovanotti riescono a creare in poco tempo una set-list di indubbio gradimento in terra belga, e i fan, che si facevano sempre più numerosi, forzano la band a produrre il loro primo demo. Ma ancor prima di registrarlo, Annelore abbandona per cause di forza maggiore, e i musicisti rimasti sono costretti ad affrontare già la prima difficoltà della loro carriera. Per la registrazione del demo viene arruolata la veterana Valerie Vanhoutte, e nell’agosto del 2004 viene rilasciato “Forever Denying The Never”, con grandi encomi da parte della critica. Dopo altre varie vicissitudini, il rapporto con Valerie viene troncato, e Annelore riprende il posto che gli era sempre spettato, portando con sé Steve Deleu, ex-Sphinx anche lui. Le registrazioni di “Awakening the Dream” vengono effettuate a cavallo tra il 2006 e il 2007, e dopo qualche mese, arriva finalmente la loro prima realease ufficiale, sotto l’etichetta SAD, anche se per la produzione i Gwyllion decidono di affidarsi alla esperienza di Martijn e Wouter.
Il sound della band è di chiara matrice Power, anche se moltissime sono le contaminazioni da altri generi, come il Gothic, accentuato da un uso ben marcato delle tastiere, e il Prog, dai riffs e ritmiche di Martijn e Steve elaborati e complessi. Spesso quando al recensore viene sottoposto un disco con voce femminile e sonorità power-gothic, viene spontaneo fare un paragone coi blasonati Nightwish. Ebbene, sebbene la voce di Annelore abbia dei rimandi alla ex Tarja, e anche alla nostra compaesana Cristina Scabbia, risulta in alcuni momenti anche superiore alle suddette per spigliatezza e impeto, a discapito di una pomposa teatralità. Forse gli esempi più calzanti sono Keith Fay dei Cruachan, Elisa Martin (ex-Dark Moore) e Michela D’Orlando dei Power Symphony. Tornando al discorso sul sound, i gruppi sopra citati possono essere una buona linea guida per intendere le sonorità che i Gwyllion vi offrono, anche se insisto a sottolineare il loro sforzo per dare un tocco maggiormente personale sia in chiave Power che (soprattutto) in chiave Prog.

TRACK BY TRACK
Il platter si apre con un riff di tastiere molto potente, subito incalzato dalle chitarre e dalla voce impetuosa di Annelore: “Trinity”. Meravigliosamente incalzante è il chorus, che viene ripetuto alternato a bridge acustici e parti strumentali molto evocative. La seconda traccia, “Strings of Fate”, parte con un riff Prog degno dei migliori Dream Theater, che sfocia nel furioso pattern in doppia cassa di Wouter. Il brano prosegue poi su ritmi molto alti, sostenuti ancora stavolta dalla imperiosa voce di Annelore. Ancora una volta, chorus riuscitissimo. “Curse of the Wise” è il terzo capitolo del platter; è la canzone più atmosferica e Prog del dischetto, che fa dell’ossessivo riff centrale e del cantato a due voci (Martijn è il corista) il suo punto di forza. “Forever me” è la canzone di Annelore, che la esegue con una profondità e con una partecipazione paragonabile a Geoff Tate in Operation: Mindcrime. Stupendi l’intermezzo centrale di pianoforte. A seguire abbiamo “Once upon a lifetime”, traccia a dirla tutta un po’ stantia, con dei riff ben congegnati ma troppo ossessivamente ripetuti. “Running toghether”, e altro brano molto Prog-oriented. Indovinatissimi gli intermezzi di minuetto tra le parti della canzone. E altrettanto riuscita la parte cupa centrale. Un flauto di Pan introduce la successiva “Lost in a dream”, dove ancora una volta la voce di Annelore si manifesta in tutta la sua potenza. Sono costretto a ripetermi, ma il break centrale risulta ancora una volta riuscitissimo. Tocca infine ad “Helpless” chiudere l’avventura di questo album. E come degna chiusura, è un brano al cui interno ritroviamo tutte le particolarità del songwriting di questa band; mid-tempo evocativi, parti strumentali oscure, sfuriate di doppia cassa e, ovviamente, voce eccezionalmente impetuosa.

SOUNDS GOOD?
Voce – Il vero punto di forza della band. Come dicevo in apertura di recensione, Annelore si affida ad un cantato che esula dalla magnificenza e dalla teatralità di buona parte delle sue colleghe. Il suo stile è pulito, semplice e diretto, che si adagia facilmente su tonalità medie dolci ed acuti precisi e potenti.
Piccola nota anche per il corista, Martijn, il quale si riesce a destreggiare bene nel ruolo di controvoce di Annelore, prediligendo tonalità medio-basse.

Chitarre – Purtroppo (come dirò più avanti) la produzione non riesce a “far uscire” la potenza dei buoni riffs di Martijn e Steve, i quali comunque svolgono il loro compito con dovizia e precisione.

Basso – Ehm… Dov’è il basso in questo disco? Si sente poco, e anche se una parte della colpa è da imputare alla produzione, l’altra parte è da ascrivere alla poca incisività e inventiva di Thomas. Rimandato alla prossima.

Tastiere – In questo stile le tastiere dovrebbero farla da padrone. E in effetti Joris compie una prestazione sugli scudi, offrendo ottime partiture, precisi accompagnamenti e assoli intriganti.

Percussioni – Buon lavoro di Wouter. Preciso e semplice, forse anche un po’ troppo. Si destreggia bene sia sulle parti più propriamente percussionistiche che sulle sfuriate in doppia cassa.

Produzione – Nota dolens… La scelta di fare “in casa” può essere redditizia a volte, ma avendo una band del genere alle spalle, bisognerebbe evitare queste decisioni personalistiche e affidare la consolle alle mani sapienti di un sound engineer quotato. Non che i suoni siano impastati, sia chiaro, ma le distorsioni sono poco compresse, la batteria non è resa al massimo, e a volte anche i riverberi delle voci non sono propriamente consoni. Un lavoro di certo discreto, comunque, ma con queste potenzialità ci vorrebbe ben altro…

Il giudizio finale, e il voto di conseguenza, è positivo, e i punti che separano questo disco dalle massime altezze sono da addebitare alla resa sonora troppo semi-professionale e alla immaturità del songwriting, che è sì personale, ma ancora troppo acerbo.
Credo che questi belga riuscirano davvero a sfondare nel mercato del metal continentale, dato che la loro offerta risulta alquanto fresca e innovativa. Fidatevi, sentirete ancora parlare dei Gwyllion.

Tracklist:
1. Trinity (5:09) * online *
2. Strings of Fate (4:48)
3. Curse of the Wise (4:50)
4. Forever Me (5:02)
5. Once upon a Lifetime (5:07) * online *
6. Running Together (5:27)
7. Lost in a Dream (6:49) * online *
8. Helpless (7:21)

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