Recensione: Az-I-Dahak
Gli statunitensi Black Funeral hanno da sempre a cuore le tematiche più oscure, il lato ombroso dell’umana essenza che brama il chaos, la guerra e nasconde la bestia che si cela sotto le ns. sembianze. Continuando lungo questa falsa riga, anche Az-I-Dahak tratta l’eterno rapporto tra “uomo” e “male”, quel gioco senza fine tra l’ammiccare seducente e magnetico della malvagità e la debolezza dell’essere umano che vi presta il fianco. Nella fattispecie, si narra la leggende di Az-I-Dahak, re assiro che decise di scendere a patti con la bestia malefica Ahriman, la quale lo baciò sulle spalle facendovi nascere due serpenti affamati di cervello umano. Un lento supplizio verso una progressiva decadenza, che culminerà con la sua detronizzazione ed imprigionamento sulle montagne dell’Iran.
Messo da parte il lato teorico, mirabilmente compiuto, articolato e sviluppato con notevole applicazione, rimango di sasso al cospetto della pochezza musicale di Az-I-Dahak e mi mordo le dita pensando allo spreco perpetrato. E’ quasi “delittuoso” affidare un lavoro concettuale tanto stimolante alle manacce maleducate d’un disco inconsistente, limitato e fiacco. Ripensando alla mia delusione per il precedente Belial Arisen, mi rendo conto di quanto fossi ignaro del futuro e, col senno di poi, giuro che porrei una firma ovunque per riavere un disco come il precedente, derivativo ma sostenibile.
Az-I-Dahak avrà pure ambizioni costruttive per il back metal, come sbandierato dal suo creatore, ma resta un lavoro povero che non va oltre qualche scontata intenzione d’evoluzione, solcando mari sintetici che io non sopporto al pari delle svolte “apocalittiche” che imbastardiscono il sound originario. Se dare un apporto importante al settore è gonfiare il proprio stile di stucchevoli velleità moderniste ampiamente discutibili, sull’onda di drum machine volutamente asettica e campionamenti ritmici sgonfi, credo che la situazione sia drammatica.
Per farmi capire potrei sparare nel mucchio, puntando il mirino sulle vocals minimizzate ad una recitazione acida, ritmata ed anonima, ridotte ad un ruolo di suono distorto e disturbato all’interno di una cacofonia a tratti fastidiosa. Potrei anche citare l’inconsistenza di ritmiche noiose e ripetitive, svezzate da riff di chitarra monotematici e riduttivi come nella peggiore tradizione.
Il disco vorrebbe destabilizzare, angosciare ed aggredire, ma l’unico effetto che sortisce su di me è quello di indispormi, annoiarmi e farmi detestare progressivamente la sua forma pseudo industrial all’acqua di rose. Non trovo nessuna agonia, aggressività nè tanto meno violenza, ma soltanto pochezza, ripetitività ed un ulteriore impoverimento delle strutture classiche.
Il platter segna il ritorno ad una produzione inedita di Akhtya Nachttoter dopo una lunga pausa creativa, recuperando dall’oblio (tre anni) il suo progetto primordiale dopo averne scongelata la produzione musicale, datata anche 1996, in occasione del precedente lavoro. Sinceramente spero trovi nel suo archivio qualche altro pezzo d’epoca da proporci, perché a queste condizioni la loro musica prenderà direzioni per me insostenibili, influenzata probabilmente dall’altro progetto Psychonaut75.
Se non fosse per il concept oggettivamente attraente, boccerei questo cd su tutta la linea, il classico disco tutto “teoria” con una sostanza musicale che fa acqua da ogni parte. Forse i più depravati blackster potranno godere di questa “musica”, ma i gusti personali possono qualsiasi cosa. Io me ne dissocio e cedo gli attuali Black Funeral a qualche capitano più adatto di me.
Tracklist:
01. Druj Nasu
02. Daevodata
03. Az-i-Dahak (awake)
04. Dahak (Serpent Arise)
05. Eye of Arashk
06. Kiss of Serpents
07. Sutekh (Chaos)
09. Astovihad
10. The Fallen Arise