Recensione: Back from the Edge
Guidati dall’energica voce della bella Sarah Teets, i power metaller americani Mind Maze arrivano al traguardo del secondo full-lenght in carriera, pubblicando,.per Inner Wound Recordings, Back from the Edge, uscito nell’ottobre dell’anno scorso.
Un artwork epico e visivamente efficace è il biglietto da visita di un album che sicuramente non passerà inosservato fra i sostenitori del power (e del prog.), specialmente per la presenza del bravissimo Mike Lepond, noto soprattutto per essere il bassista dei Symphony X, qui al suo esordio in studio con il giovane quartetto a stelle e strisce.
Contrariamente a ogni aspettativa per un disco power, non compare nessun intro strumentale in apertura di platter. I Mind Maze preferiscono affidare i primi minuti del platter alla decisa titletrack, che, dopo un piacevole arpeggio chitarristico, esplode con tutta la velocità tipica del power metal più classico, colpendo soprattutto per l’ottima prova dell’eccellente vocalist, subito a suo agio nel portare al successo un brano dalle melodie incisive e orecchiabili, come dimostra l’eloquente buon refrain, che a sua volta, anticipa una serie di parti soliste efficaci e ben eseguite dal bravo Jeff Teets.
Con “Through The Open Door”, il gruppo mantiene inalterate le coordinate musicali dell’opera, rimanendo costantemente su territori speed/power, in cui a dominare sono ancora i granitici riff macinati dal chitarrista, sui quali si stagliano le sempre piacevoli armonie vocali, interpretate con maestria dalla cantante, riuscendo così a mantenere l’album su alti livelli qualitativi.
Un elegante giro di basso precede le sognanti atmosfere che caratterizzano la melodica (ma ugualmente potente) “Moment Of Flight”, nella quale la band si assesta su velocità maggiormente cadenzate e massicce, adatte alla voce della cantante, la quale offre ancora una volta un’interpretazione mirabile, rivelandosi il vero punto di forza del gruppo americano.
Con la successiva “Dreamwalker”, la ricetta compositiva dei Mind Maze continua con successo a mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore e fa da preludio alla maestosa e lunga “The Machine Stops”, suite di oltre dieci minuti, contaminata con alcuni elementi progressive: non a caso sembra emergere, infatti, prepotentemente l’anima dei migliori Symphony X (quelli di The Divine Wings Of Tragedy). Il risultato a ogni modo è efficace e i nostri incastonano un altro tassello fondamentale di questa seconda release.
La componente melodica tipica della band rimane un elemento fondamentale e si pone alla base della seguente ed emozionante “Consequence Of Choice”, cui segue la granitica “End Of Eternity”, nella quale il combo statunitense equilibra alla perfezione potenza e melodia, tessendo un ritornello d’impatto a cui seguono come di consueto una serie di parti soliste lancinanti e adrenaliniche. L’ultima parola per questo secondo album spetta alla lunga, articolata e solenne “Onward (Destiny Calls II)”, la quale come suggerisce il titolo, è il naturale seguito della ugualmente maestosa “Destiny Calls”, che chiudeva il primo album della band, Mask Of Lies, pubblicato nel 2013.
Un ottimo lavoro dunque, che dimostra come anche attualmente ci siano ancora giovani realtà in grado di offrire album di ottimo livello e soprattutto suonati e allestiti con passione per un genere che riesce a regalare ancora grandi emozioni.