Recensione: Back On The Hunt
Dopo un’intro degna di un film della Hammer Productions, coadiuvati anche da un artwork molto bello e adeguatamente stregonesco (come non farsi venire in mente il grande inquisitore Hopkins interpretato sugli schermi nel ’68 da Vincent Price), si viene scaraventati nel mondo della caccia alle streghe dei Witchunter, formazione abruzzese giunta al secondo album dopo l’esordio su My Graveyard Productions nel 2010 con “Crystal Demons”. La band si rinnova nella propria line-up, cambia il batterista e complessivamente il numero di bocche da fuoco sale a cinque. Non si rivoluziona per niente invece lo spettro sonoro dei nostri, sempre affezionati a speed metal e NWOBHM.
Innanzitutto la produzione, orgogliosamente non al passo coi tempi, seppellita dalle sabbie di una clessidra che ha finito di scorrere con gli anni ’80. Con gli orecchi digitali di oggi, questo significa forse non valorizzare al massimo ogni strumento e non troneggiare nell’universo del sound cristallino al 200%, tuttavia c’è un senso di immediatezza, di genuinità e di verità in questi solchi che non può non risultare contagioso. E altrettanto spontaneo sorge un bell’urrà nei confronti di una produzione che suona vecchia, fascinosamente inadeguata al calendario.
Quindi le song, perfettamente bilanciate tra up-tempo sparati a testa bassa – poco affettuosi verso melodie esplosive e ritornelli anthemici, bensì tutta sostanza e affidabilità operaia – e reminiscenze british che intavolano le influenze care ai Witchunter, dai Jaguar ai Tank, dai Raven ai Tysondog e via discorrendo, con lo stemma dell’Union Jack ben stampato sulla schiena. “Hounds Of Rock” chiama in causa i Witchfynde di “Pay Now, Love Later“; “Loosing Control” con le sue ambientazioni a la “To Hell And Back Again” / “20,00 Feet” rimanda dritta dritta ai Saxon di “Strong Arm Of The Law”; “Lucifer’s Blade” riprende un po’ i sapori di copertina (odor di zolfo e calderoni fumanti rimestati da evanescenti e cornute creature della notte), avvicinando maggiormente i Witchunter a nomi come Angel Witch, Mercyful Fate e, in ultima analisi, ai nostri Death SS.
Non ci sono errori ammissibili, le coordinate di “Back On The Hunt” sono chiare, così come è verace la prova al microfono di Steve Di Leo, che non a caso usava come nomignolo “Psycho”. La sua foga e i suoi urletti a chiosa dei momenti interpretativi più topici fanno levare pugni chiusi al cielo. E pensare agli Exciter durante l’ascolto di “Vultures Stalking” è un attimo. Si potrà certamente dire che “Back On The Hunt” sia un album derivativo (o, a vederla in modo più generoso, un atto d’amore verso i propri Padri musicali), come del resto accade a tantissime altre band in circolazione (e magari osannate anche e proprio per questo (vedi Enforcer, Cauldron, In Solitude, etc.), ma nonostante ciò si dovrà riconoscere a questi ragazzi il carattere, l’entusiasmo, la grinta trascinante, la voglia di suonare la musica amata fin nel midollo. Chiudono la scaletta due cover di Led Zeppelin e Thin Lizzy, che proseguono nel solco dell’onorare gli amori di una vita, ma che magari risultano un po’ troppo eterogenee rispetto al dna più da battaglia dei Witchunter. In ogni caso, una gradita riconferma da parte della band teramana.
Marco Tripodi