Recensione: Back To The Front

Di Vittorio Sabelli - 31 Luglio 2014 - 9:46
Back To The Front
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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68

«Nihilist – Legendary band that transformed into the mighty Entombed. In my opinion, this was the forst 100% death metal band in Sweden. Together with Bathory, Nihilist/Entombed is probably the most influential Swedish metal band»

Come non condividere l’opinione di Daniel Ekeroth sul suo libro/bibbia Swedish death metal?

Ebbene si, a partire dal 1987 quel ragazzaccio attratto dal punk di nome Nicke Andersson in compagnia di Ulf “Uffe” Cederlund e Alex Hellid alle chitarre, Johnny Hedlund al basso e L-G Petrov alla voce, nei sobborghi di Stoccolma, diede vita a quella che è stata la prima vera death metal band scandinava.

Giunti al decimo album, ma col nome di Entombed A.D., i Nostri si ripresentano a distanza di sette anni dal deludente “Serpent Saints – The Ten Amendments”, ultimo di una serie di album death’n’roll che ha portato la band ben lontano dal trittico che le ha reso popolarità e successo in tutto il mondo. “Back To The Front” era in realtà previsto per lo scorso anno, ma le vicende personali all’interno della band hanno portato alla scissione dell’ultimo membro originale Hellid, che la scorsa estate si rifiutò di andare in tour con la band per una reunion con Andersson e Cederlund per l’esecuzione con la Gävle Symphony Orchestra dell’album “Clandestine”, dalla quale Petrov si dissociò. E poiché le registrazioni del nuovo album erano a buon punto per la sua uscita a fine anno, ecco avviarsi l’ennesima disputa legale legata al nome della band e di chi fosse il suo portavoce, con la conclusione che il nome Entombed fosse di proprietà di tutti e quattro i membri originali.

E allora Petrov, unico superstite, decide di capeggiare la nuova band che prende il nome Entombed A.D., con il batterista Olle Dahlstedt e il chitarrista Nico Elgstrand, già bassista nel penultimo “Serpent Saints – The Ten Amendments”, e con Victor Brandt in sua sostituzione alle quattro corde. La band si prodiga in un disco incentrato fortemente sul periodo dei dischi “Inferno” e “Morning Star”, e in maniera immaginaria avrebbe potuto chiudere un secondo trittico, anche se i fan avrebbero senz’altro apprezzato un ritorno al sound ‘delle origini’. Devo ammettere che il risultato finale è un disco apprezzabile e godibile per una buona metà, di non difficile ascolto, assimilabile senza troppo impegno sin dalle prime battute.

Le atmosfere sono plumbee e pesanti, con Petrov che sceglie di scendere nell’oltretomba con la sua ugola rispetto alle ultime produzioni, dando profondità alle chitarre di Elgstrand, che crea die discreti riff, ma spesso abbastanza freddi e scarni. Entrando nello specifico dei brani si nota una netta differenza tra di essi che potrebbe indurci a dividere il disco in due parti, con la prima più dinamica e varia, che vede l’opener “Kill To Live”, oscura e pesante al punto giusto, fare da apripista a una sequenza di brani di piacevole ascolto. “Pandemic Rage”, “Second To None”, “Bait And Bleed” hanno interessanti storie da raccontare, con strutture standard, ma con dei buoni cambi di tempo e un riffing interessante, oltre all’ottima voce di Petrov. La seconda metà del disco cede lentamente, ad esclusione della chicca “The Underminer”, arrivando alla conclusiva “Soldier Of No Fortune” tra passaggi triti e ritriti, che si stagliano tra stoner e hard rock di ‘passata’ più che di old-school.

Oltre al sound globale, tipicamente Entombed-style secondo periodo, il primo elemento che non catalizza l’attenzione è la batteria, dove si registra una schietta staticità e mancanza di (ulteriore) interazione del drumming di Dahlstedt, vero anello debole dell’attuale formazione. Si limita a fare il bravo e preciso batterista facendo il compitino senza dare segni di spinta propulsiva, che avrebbe potuto dare senz’altro verve in molti punti del disco. La scelta di una produzione degli Entombed è ricaduta su un disco fruibile e assimilabile in poco più di un ascolto, ma che personalmente non trovo stimolante, se non per qualche raro episodio menzionato.

Considerando i sette lunghi anni di attesa il gusto per chi adora questa band dai primordi è abbastanza amaro, nonostante il granitico  Petrov cerchi in tutti i modi di tenerla in vita, non lascia che rimpianti per gli Entombed che furono, e non solo quelli di “Left Hand Path”, considerando che “Back To The Front” è un buon disco, ma remake di cose già fatte in maniera più convincente ad inizio secolo.  

Vittorio Sabelli
 

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