Recensione: Bad Desire [Reissue]
“Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno…”, questo è il primo rigo de I Promessi Sposi, uno dei più famosi romanzi italiani dell’800, scritto da Alessandro Manzoni. La vicenda è ambientata nei dintorni di Lecco, una città di circa 50.000 abitanti situata in Lombardia, sul ramo orientale del Lago di Como, posta a circa 50 km a nord di Milano. A livello musicale, il centro lacustre assurse alle cronache nazionali – e non solo – per aver dato i natali, intorno alla metà degli anni Settanta, ai Progressive heroes Biglietto Per l’Inferno, gruppo mitico e di culto di quelle stagioni irripetibili, per intensità e creatività. All’incirca dieci anni dopo, sulla spinta devastante griffata Nwobhm, dalle ceneri degli Axton System United prendono forma gli Axton, band che inizia a mietere vittime anche all’interno delle manzoniane lande, insieme con altri act che rispondono al nome di Vortex e Leopard.
Gli inizi vedono i Nostri impegnati come cover band dei Judas Priest per poi iniziare a comporre musica propria, come ben testimoniato dal demo, molto professionale e in stile defender, Time To Kill, del 1987. Aprono per Havoc, Sabotage e Steel Crown all’Heavy Metal Night di Sorisole (Bg) così come nel 1989 partecipano al Festival Heavy di Cilavegna (Pv), suonando con Moon Of Steel e Royal Air Force. Nel giugno del 1990 vede la luce Bad Desire, l’esordio sotto forma di Lp della formazione lecchese, sapientemente ripescato e rimasterizzato e per la prima volta riversato su Cd quest’anno. Dopo innumerevoli vicissitudini anche a livello di line-up, nella primavera del 1995 esce il secondo album Like A Thunder, segue lo split ufficiale del 1996 che però non preclude ai Nostri di togliersi qualche soddisfazione a livello concertistico negli anni successivi, lasciando del tutto aperta la possibilità per qualcosa di più proprio in questi ultimi mesi.
Bad Desire
Symbol Of My Sex vive del contrasto fra chitarre durissime alla Heavy Load – Heavy Metal Angels (In Metal And Leather) docet – e dolci cori ottimamente riusciti come erano usi fare i Dokken dei tempi d’oro: in poche parole il giusto brano per iniziare nel migliore dei modi Bad Desire, roba che se l’avessero scritto i Motley Crue saremmo lì ancora oggi a vederci il videoclip in Heavy Rotation su Rock Tv. Si continua all’insegna del Class Metal più puro in Don’t Break My Heart Again, a metà fra la band del californiano Don e gli Elektradrive di Torino. Il passato duro e puro degli Axton esplode nella mitragliante Fighting To Survive, che straborda di asce a la Saxon per poi ripiegare su cori da urlare, tricorno al cielo, durante i concerti. Le influenze Nwoihm – leggasi Halloween di Udine – dettano legge nella cadenzata Turn Off The Light, mentre la veloce Final Warning è splendidamente Riot in versione Rhett Forrester. La peculiarità degli Axton è quella di suonare Hard Rock, Class Metal o come diavolo lo si voglia chiamare con le chitarre fumiganti fottutamente HM, esattamente come facevano gruppi come Dokken e Motley Crue, che proprio per questo si tiravano fuori dal mazzo delle altre “normali” band di Hair Metal anni Ottanta.
L’esempio vivente del concetto è la poderosa ma nello stesso tempo catchy Turnin’ Wheels, seguito dalla altrettanto convincente Nightheart, che ricorda da vicino qualcosa dell’americano Ron Keel. Mai prendesi troppo sul serio nell’HM: Blond Woman (La Dona Biunda) è lì a ricordarcelo. Si riparte con il piede pigiato sull’acceleratore in Snake Eyes, altra prova di ottimo songwriting di facile presa, senza per questo calare le braghe. Poteva mancare un bel lentone in un disco come questo, dove campeggia un reggiseno della quarta misura su di un chitarra rossa in copertina? One Last Time è una ballad romantica ma nello stesso tempo malinconica, che annichilisce ancora una volta per la freschezza del songwriting e pone, come spesso accadde per altre band italiane, il solito interrogativo: se questi qua fossero nati a Los Angeles nei primi anni Ottanta chi li avrebbe fermati più?
Il bagno di salute nelle sonorità classiche anni Ottanta continua come era iniziato il percorso musicale dei Nostri: le sette canzoni di matrice fottutamente Nwoihm classica che composero il demo Time To Kill del 1987 vengono proposte una dietro l’altra a mo’ di bonus track, in pratica un disco vero e proprio in più, e si sente eccome. Un’idea grandiosa per tutti i fan dell’HM italiano con gli attributi pensata e realizzata dalla Heart Of Steel Records dell’indomabile Primo Bonali. La resa sonora, poi, è assolutamente proponibile, aggiungendo ulteriore “value for Money” a questa uscita.
Il booklet di 16 pagine è curatissimo, denso di chicche. Qua e là campeggiano le foto di Ed D’Amico, Marino Gianoli & Co. che in quanto a tamarraggine potevano rivaleggiare alla grande con i colleghi italici Royal Air Force, Sharks, Halloween e Gow, vanto non da poco.
Welcome back Axton!
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Tracklist:
1. Symbol Of My Sex
2. Don’t Break My Heart Again
3. Fighting To Survive
4. Turn Off The Light
5. Final Warning
6. Turnin’ Wheels
7. Nightheart
8. Blond Woman (La Dona Biunda)
9. Snake Eyes
10. One Last Time
Time To Kill – bonus track:
11. Lucifer
12. Wild Fire
13. Can’t Get Away
14. When The Night Is Coming Down
15. Heavy Metal
16. Heroes Die Alone
17. Redlight Boys
Line-up:
Marino Gianoli: vocals
Ed D’Amico: guitar
Renzo Parchetti: guitar
Joey Pescantin – Bass
Luciano Sandrini – Drums