Recensione: Bad Image
I Kingdom Come, di nazionalità tedesca, sono stati fondati nel 1987 da Lenny Wolf, vero factotum e leader carismatico della band (cantante, compositore e, in alcuni albums, anche chitarrista e bassista, nonché produttore o co-produttore dei lavori stessi).
Sin dall’inizio, con i primi tre albums ‘Kingdom Come’ (1988), ‘In Your Face’ (1989) e ‘Hands Of Time’ (1991), il gruppo è stato accomunato, dalla critica del tempo, ad una mera band/clone dei Led Zeppelin (in effetti, Lenny Wolf li cita fra le sue principali influenze musicali, nella biografia), sminuendo, di fatto, il reale valore del gruppo stesso, capace di realizzare dischi dalla propria, definita personalità, esattamente come ‘Bad Image’ (1993), oggetto della presente recensione.
L’album, prodotto e composto da Lenny Wolf, è stato stampato con la seguente line-up: Lenny Wolf, voce, chitarra e basso, Billy Liesgang e Heiko Radke-Sieb, chitarra e Kai Fricke, batteria.
L’intero lavoro è sfiorato, accarezzato, lambito, da un sottile velo di melanconia, una leggera venatura di tristezza che lo rende profondamente emotivo e struggente.
Ma andiamo con ordine.
La partenza è a carico di “Passion Departed”, canzone dal ritmo lento e cadenzato, che presenta immediatamente la caratteristica sopra descritta, in ciò resa più efficace dal cantato sofferto di Lenny Wolf. La canzone è ben ritmata, con chitarre e tastiere a far da dolce sottofondo.
Seconda traccia del platter è “You’re The One”, nella quale la componente melanconica prende il sopravvento. Lo scheletro del brano è costituito da un ritmo dolce, languido e sofferto, ed il cantato di Wolf regala attimi di lirismo profondi, soprattutto quando intona, con sentimento, il ritornello della canzone:
You’re the one who changed my life
When you said you’ll be all mine
I’m just scared of losing sight
Molto coinvolgenti ed a loro volta fautori di un dolce oblio che si insinua nelle orecchie dell’ascoltatore, i soli di chitarra, assai melodici e dotati di personalità propria, che tuttavia si amalgamano al tono generale della canzone.
Terzo pezzo del disco è “Fake Believer”, che esordisce in maniera analoga a quanto già ascoltato precedentemente. Il ritmo, tuttavia, è più sostenuto da basso e batteria verso sonorità tipicamente Hard Rock, con finale in costante crescendo; indovinato ed orecchiabile il refrain, pur nella sua atipicità dovuta all’intonazione di Lenny Wolf.
E’ il turno quindi di “Friends”, lento ed appassionato momento di riflessione e di introspezione, ove Wolf fornisce nuovamente un’interpretazione varia ed accorata.
Quinto episodio è “Mad Queen”, leggermente differente, come songwriting, dal resto dell’album: tono quasi jazzato nelle strofe, con chorus di difficile assimilazione, ma pur sempre gradevole all’ascolto.
Si passa poi a “Pardon The Difference (But I Like It)”, breve pezzo strumentale di tastiera, con campionamenti di archi che, ancora una volta, sottolineano il tono melanconico che pervade tutto l’album.
La traccia successiva, “Little Wild Thing”, è un classico brano di Hard Rock melodico, sostenuto con tonicità dalla sezione ritmica e da un cantato vario e spesso giocato su toni alti. Molto orecchiabile il ritornello, appropriato al pezzo il break centrale di andatura più allegra.
Quindi, è la volta di “Can’t Resist”, il brano forse più atipico dell’album, con intarsi di campionature sparsi un po’ ovunque; ricompare all’improvviso l’alone di tenue sofferenza, chiaramente percepibile nell’interpretazione del cantato. Vario ed armonioso il chorus, aiutato in ciò dalle chitarre, vivaci e melodiche.
A seguire, “Talked Too Much”, simile in tutto e per tutto al groove alla canzone precedente. Gradevole e lineare la strofa e, come spesso accade nel platter, il refrain è di non facile ed immediata assimilazione, essendo pur tuttavia sempre coerente con lo stile manifestato lungo tutto il disco.
“Glove Of Stone” è il decimo pezzo: si fanno sentire in maniera più marcata le chitarre, assenti tuttavia nella strofa iniziale, dove appunto si può apprezzare in pieno lo stile, davvero unico, di Lenny Wolf, cantante in possesso di una timbrica difficilmente replicabile; il ritornello è melodico e di facile presa, con aggiunte dosate di chitarra ad impreziosire il tutto.
Infine, l’ultimo capitolo: “Outsider”.
Il migliore, a parere di chi scrive, in quanto in esso si condensano, sintetizzate, tutte le emozioni, caratteristiche, varietà dell’intero l’album: parte ritmica sempre viva e sostenuta, chitarre chiare e presenti efficacemente legate ai suoni di tastiera e toni malinconici, il tutto sublimato nell’interpretazione di un grande Lenny Wolf.
Straordinario, se non eccezionale per unicità, il chorus, che condensa forte melodia e languida tristezza. Stupendo l’assolo di chitarra, vera “canzone nella canzone”: struggente e nostalgico, conseguenza, forse, di uno stato d’animo generato da un sentimento finito oppure mai nato.
La canzone, inoltre, si permea di un generale “senso di stanchezza” interiore, psicologico che, al termine, rappresenta senza dubbio la miglior firma finale dell’album.
Daniele “dani66” D’Adamo
Tracklist :
1 – Passion Departed
2 – You’re the One
3 – Fake Believer
4 – Friends
5 – Mad Queen
6 – Pardon the Difference (But I Like It)
7 – Little Wild Thing
8 – Can’t Resist
9 – Talked Too Much
10 – Glove of Stone
11 – Outsider