Recensione: Bad Luck
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Cosa potrebbe succedere se gli Spiritbox e gli Architects avessero un bambino?
Probabilmente nascerebbero i Loudblood! Giovani, arrabbiati, purtroppo anche un po’ sfigati da quel che si legge, visto che la pubblicazione di quest’album è stata un po’ tribolata: l’amputazione di una falange ed un tendine reciso, la pandemia, liti tra i componenti, cambio di vocalist e addirittura uno studio andato a fuoco … non volersi far mancare proprio niente!
Questo tormentato percorso non ha però fermato i ragazzi meneghini, che, nonostante tutto, sono riusciti a pubblicare a Dicembre dello scorso anno il loro primo lavoro sulla lunga distanza dal titolo ‘Bad Luck’, autoprodotto. Autoproduzione che non deve essere intesa come un punto a sfavore, in quanto i suoni sono estremamente puliti e ben mixati, di una qualità che non ha nulla da invidiare a uscite di nomi ben più illustri.
In linea generale il loro è un Metalcore/Progressive, per cui un qualcosa di tremendamente aggressivo, pesante, tecnico e sperimentale, soprattutto contemporaneo, dominato dalle versatili vocals di Valentina Visintin, ma si sente che i ragazzi hanno studiato le basi e non lasciano indietro la Old School.
Le infiltrazioni pop ci sono (‘Bring Out’) ma strizzano comunque l’occhio all’aggressività che caratterizza il Metalcore, rendendole solo degli intercalari melodici.
I riff di chitarra sono ben piazzati e la presenza della sezione ritmica è intensa denotando una certa abilità, in particolar modo su pezzi come ‘Lunar’.
La resa su disco e notevole e sarebbe interessante vedere i Loudblood sui palchi per confermare l’impressione a caldo dopo averlo ascoltato, cosa che spero di riuscire a fare in questo 2025.
Per essere al loro primo lavoro, li promuoviamo a pieni voti, e speriamo che il panorama italiano possa sempre beneficiare di ventate di aria rovente, pardon … fresca, come questa.