Recensione: Baldur
Un brivido intenso, prolungato, che parte dalla nuca e scende come un fulmine lungo la schiena. Era da tempo che un disco, e nello specifico qui si tratta dei primi minuti del debutto discografico degli Skálmöld, non mi regalava una tale, splendida emozione. La magia nasce dalle note d’apertura di “Heima”, brano corale dove a farla da padrone sono le voci dei bambini intenti a ripetere le parti finali del rímur davanti allo scoppiettio rassicurante di un fuoco nel camino: proprio come in un gioco, con il potere di una filastrocca, come fosse una sorta di antica magia. Una magia che profuma di legno, di zuppa lasciata a cuocere e borbottare allegramente, chiusi in casa, sicuri, circondati da un infinito bianco candore.
Il ricordo mi riporta ai rímur della Völuspá e dell’Hávamál ‘cantati’ da Sveinbjörn Beinteinsson, salito agli onori della cronaca per aver fondato l’Íslenska Ásatrúarfélagið (associazione islandese per la fede negli Dei), riconosciuta, dopo una dura battaglia legale, anche dall’ordinamento giuridico islandese. Se a ciò sia aggiungono i possenti cori, veri e propri tratti somatici della band, il meraviglioso quadro si completa da sé.
Ma andiamo con ordine: il nome Skálmöld o “età delle spade”, si riferisce al periodo della storia islandese ricordato come l’epoca degli Sturlungar, al cui declino l’Islanda si ritrovò sottomessa politicamente e commercialmente alla Norvegia. Gli islandesi offrono all’eterogeneo popolo amante del viking metal un fedele spaccato della vita politica dell’isola dell’ottavo secolo, periodo burrascoso caratterizzato da lotte tra clan, tradimenti, battaglie e miti eroici. Da questo ricco substrato culturale, sempre più apprezzato dagli amanti delle sonorità nordiche in giro per il mondo, nasce “Baldur”, concept-album sulle vicende dell’omonimo guerriero le cui gesta ricordano da vicino le tragiche vicissitudini di Arntor narrate da Valfar nell’omonimo, indimenticabile capolavoro.
A differenza del genio di Sogndal, la vicenda raccontata nel disco non si rifà propriamente ad un determinato avvenimento storico come nel caso della battaglia dello Sognefjord del 1184, ma risulta più epica e romanzata, rimanendo in ogni caso fedele alle antiche saghe islandesi. Attraverso le dieci canzoni che compongono il lavoro, il gruppo ci racconta di come il vichingo Baldur vendicò la morte della famiglia avvenuta per mano di un demone e di come, aiutato da due fedeli compagni che moriranno assieme al protagonista, dopo immani sofferenze si poté riunire ai propri cari nella dorata Valhöll.
Musica di grande effetto quella del gruppo capitanato dal cantante e songwriter Snæbjörn Ragnarsson, capace di unire sapientemente elementi propri del death/thrash metal alle musiche popolari. Un modo di comporre attento e fedele alle strutture metriche del dróttkvætt, tecnica di scrittura che usa il metro allitterativo per creare versi poetici più coesi, musicali ed efficaci. Tecnica molto in voga nel mondo germanico usata, ad esempio, nell’Edda dal personaggio verosimilmente più famoso del clan Sturlungar: Snorri Sturluson.
La drammaticità della storia narrata influenza pesantemente la musica dei Nostri: toni grevi, ricchi di sofferenza e rabbia rendono talvolta l’atmosfera opprimente e malinconica, quasi al limite del doom; stati d’animo più che legittimi in chi assiste allo sterminio della propria famiglia, senza poter far nulla, come nel caso del protagonista degli eventi narrati.
Gli arpeggi di “Kvaðning” che si perdono nel vento, i pianti innocenti e i latrati dei cani di “Draumur” sono particolari quasi impercettibili ma fondamentali per poter addentrarsi in toto nella proposta musicale degli isolani; ambientazioni che portano in se un forte carico di empatica nostalgia, di un dolore antico che potrà essere lavato solamente con il sangue del nemico. Dolore che esplode deflagrante nelle urla di Aðalbjörn Tryggvason, connazionale conosciuto ai più per essere la voce dei Sólstafir, in una eccellente “Hefnd”.
Maiuscolo il lavoro svolto dalle chitarre, protagoniste indiscusse – assieme alle già più volte citate parti corali – di tutto l’album, impreziosito in più di un frangente da passaggi solisti di elevato tasso tecnico e pregevole fattura come, ad esempio, nella parte centrale di “Dauði”. Una produzione in grado di esaltare ogni singolo componente rende l’esordio degli Skálmöld un successo senza ombra alcuna. Un viking metal roccioso, spigoloso, che però non rinuncia ad addentrarsi in sonorità più complesse ed articolate. Se non fosse ancora chiaro, “Baldur” è un disco da avere. Senza se e senza ma.
Daniele Peluso
TRACKLIST:
01. Heima
02. Árás
03. Sorg
04. Upprisa
05. För
06. Draumur
07. Kvaðning
08. Hefnd
09. Dauði
10. Valhöll
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