Recensione: Banks Of Eden
Diciamo pure che non siamo abituati a ben cinque anni di silenzio da una band come i Flower Kings: in tredici anni di attività, dal 1995 al 2007, il gruppo svedese aveva mantenuto la formidabile media di un full-length all’anno, concedendosi il lusso di una pausa in due sole occasioni, 1998 e 2005. Anche per questo, il prolungato silenzio succeduto alla pubblicazione di “The Sum Of No Evil“, coniugato al successo riscontrato da quasi tutti i progetti paralleli avviati da Stolt e soci (Karmakanic, Agents Of Mercy), avevano fatto presagire, temere, che il ritorno dei re non fosse qualcosa di completamente scontato.
Va detto, i Flower Kings non sono una band che rivoluzionerà né la musica in ampio senso, né singolarmente il prog rock: troppo manieristi, troppo compiaciuti, logorroici oltre l’umana comprensione, gli svedesi sono la classica band che o si ama o si odia. Ed in questo caso, il secondo gruppo è decisamente più nutrito del primo.
E queste erano le impressioni che circondavano anche il nuovo “Banks Of Eden”, tenendo presenti pure le dichiarazioni della band medesima: come apripista ha infatti delegato la proverbiale suite da mezz’ora, dal pitagorico titolo “Numbers”, brano che “non sarà easy listening” (comunicato stampa sul sito dei FK).
Ora, descrivere una suite progressive è lavoro svilente e riduttivo nei confronti dell’opera, ma va detto che “Numbers”, per chi conosce bene i nostri, è una composizione decisamente semplice. Dominata soprattutto all’inizio da atmosfere beatlesiane e da parti vocali che conquistano dopo pochi ascolti, si concede spesso e volentieri digressioni sospese e rarefatte, come è sempre piaciuto a Stolt. Non si perde però in passaggi di virtuosismo fine a se stesso, parti strumentali in cui ognuno fa semplice sfoggio del suo talento, insomma, tutto quello che il 90% del pubblico ha sempre rinfacciato ai nostri. Sebbene ci siano diversi intervalli strumentali e assai complessi, infatti, la maggior parte risulta disciplinata dalla guida di riff semplici e spontanei che si stampano in breve tempo nella testa di chi ascolta.
Andando oltre nell’analisi di questo “Banks Of Eden”, noterete che si struttura secondo uno dei canoni cardine del prog: una megasuite a cui fanno seguito quattro composizioni decisamente più contenute, per un disco che risulta, secondo gli standard di questa band, un’inezia, un piccolo gioiellino di neanche un’ora – incredibile ma vero.
Il sound poi è quello tipico dei Flower Kings del secondo periodo, quello gloriosamente avviato da “The Rainmaker”. Meno jazz, meno funk, meno psychedelia, per una musica che risulta un po’ meno speziata, meno affascinante, ma sicuramente più digeribile.
E così vedrete che l’ottima “Love Of God” vi riporterà indietro ai fantastici arpeggi di “Paradox Hotel” (“Minor Giant Steps”) mentre “Pandaemonium”, in assoluto il brano più arzigogolato, troverete King Crimson, Van Der Graaf e neoprog fusi assieme. Il risultato si presenta comunque suggestivo, con un ritornello trascinante ed immediato. Ancora atmosfere beatlesiane per “For Those About To Drown”, che fonde in un unicum “Sergent Pepper” e “White Album”, mentre l’ottima “Rising The Imperial” richiama alla mente i Pendragon incantati di “Window Of Life” e soprattutto “Not Of This World”, andando a chiudere, anche a livello tematico, l’anello di questo ottimo disco.
Siccome poi i nostri non si fan mai mancare nulla, nell’edizione speciale troverete anche un mini cd da neanche mezz’ora contenete 4 canzoni, che stupiscono, ancora una volta, per immediatezza e semplicità (“Going up”, “Fireghosts”).
Lo avrete capito facilmente, “Banks Of Eden” non sposta d’una virgola la proposta musicale degli svedesi, pur riuscendo ad avere un’anima personale che lo distingue da tutte le altre uscite della band. Allo stesso modo, questo album riesce a risultare fresco e spontaneo, nonostante venga da un gruppo che sta per compiere vent’anni ed è guidata da un master mind che sta per passare le sessanta primavere. Con tutto il dovuto rispetto, gente come Waters o Collins a qull’età un disco simile lo potevano solo sognare.
Non è poco, anzi, si potrebbe aggiungere che questo è l’album-manifesto dei Flower Kings. Non certo il migliore, ovviamente, ma quello che li presenta in maniera completa, senza sbavature o senza risultare pesante e manierista. Il disco da consigliare al neofita, prima di passare a “Paradox Hotel” e “Stardust We Are”.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco
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Line Up:
Roine Stolt – chitarra, voce, tastiera, basso
Hasse Fröberg – voce, chitarra
Tomas Bodin – tastiere
Jonas Reingold – basso
Felix Lehrmann – batteria
Tracklist
01. Numbers – 25:20
02. For The Love Of Gold – 7:30
03. Pandemonium – 6:05
04. For Those About To Drown – 6:50
05. Rising The Imperial – 7:40
BONUS CD (LTD digipak )
06. Fireghosts (Bonus Track) – 5:50
07. Going Up (Bonus Track) – 5:10
08. Illuminati (Bonus Track) – 6:20
09. Lo Lines (Bonus Track) – 4:40