Recensione: Baphomet Pan Shub-Niggurath

Di Daniele D'Adamo - 16 Settembre 2014 - 18:43
Baphomet Pan Shub-Niggurath
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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58

 

Il Sudamerica è la terra del metal estremo marcio, corrotto, putrefatto. Dal thrash al death sino al grind, quest’ultimo spesso sfociante nelle esagerazioni figurative del gore e del porn, gli ensemble dell’America Latina hanno sempre fornito prova di dedizione assoluta alla causa, rifuggendo con determinazione le luci della ribalta preferendo anzi vivere nel più buio e remoto underground.

Non fanno eccezione i cileni Unaussprechlichen Kulten (‘culti innominabili’), dediti dal 1999 alla forma più arcaica del death metal, e cioè all’old school. Una fedeltà alla linea che comunque ha premiato poiché i Nostri, con “Baphomet Pan Shub-Niggurath”, raggiungono il traguardo del terzo full-length in carriera, corroborato da una cospicua produzione (come da copione) di demo, split, EP e compilation.

Come suggeriscono i titoli dei vari lavori, compreso quest’ultimo, appare chiara la devozione del quintetto di Recoleta all’immaginaria dinastia degli dei cosmici inventati da H.P. Lovecraft nella sua allucinata letteratura. Protagonisti delle liriche di “Baphomet Pan Shub-Niggurath”, quindi, sono i Grandi Antichi provenienti dalle profondità dello Spazio, Yog-Sothoth in testa. Un tema che, a onor del vero, non brilla per originalità giacché sono moltissime le band di metal oltranzista che si sono ispirate ai batraci di Innsmouth. Per contro, i fenomenali racconti degli orrori che strisciano sulle Montagne della Follia et al. appaiono centrati se non quasi elaborati appositamente, ottant’anni fa, per fare da narrativa di sfondo a uno stile musicale comunque visionario come il death metal.  
 
Il problema principale di “Baphomet Pan Shub-Niggurath”, tuttavia, è che non sono solo i testi a essere scontati ma, purtroppo per gli Unaussprechlichen Kulten, anche la musica. Stile che non offre nulla in più di quanto già proposto sin’ora in materia.

Certo, la formazione sudamericana ha una più che sufficiente padronanza degli strumenti e pure un buon tiro. Sapendo in ogni caso dar luogo a un sound per nulla dilettantesco anzi: i quindici anni di vita che Joseph Curwen & Co. Hanno sulle spalle si sentono tutti, eccome; con ciò emanando quel senso di sicurezza nei propri mezzi e personalità che soltanto gli act più scafati sanno offrire. In certi passaggi, peraltro, come in “Yogge-Sothothe”, si può quasi parlare di technical death metal.  

Anche la scrittura raggiunge la sufficienza, essendo allineata a quanto stabilito dai dettami enciclopedici. Una sufficienza però scolastica, priva di particolari spunti ideativi. Esattamente come l’esecuzione, insomma. Con che, appare chiaro che il guaio di “Baphomet Pan Shub-Niggurath”, derivante direttamente dal suo essere piuttosto ordinario, si chiama ‘noia’. Sensazione che emerge quasi subito e che avvolge il platter come una fitta nebbia, impedendo di distinguere adeguatamente i vari brani. Alla fine, ma neppure così tanto… alla fine, diventa arduo proseguire con gli ascolti: l’impressione di avere di fronte a sé un monolite di granito dalle facce tutte uguali si fa strada fra “Ceremony Of Belial” e “Spirals Of Acrid Smok”, per citarne due (non) a caso.  

Per ciò, nel complesso, non si può considerare “Baphomet Pan Shub-Niggurath” meritevole di superare la soglia minima del ‘quanto basta’. Ma nemmeno un disastro, però. Solo per super-appassionati delle sonorità vecchia scuola, allora.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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