Recensione: Barmageddon
Gli Alehammer sono una band attiva dal 2006 proveniente da Chicago. Tutti i suoi componenti hanno avuto esperienze in band quali Doom, Extinction Of Mankind e Hellkrusher, e si presentano con il loro primo full-length “Barmageddon” dopo l’EP “Mine’s A Pint Of Crust” del 2007, e uno split con gli ottimi svedesi Tyrant “At War with Straightedge / Go Ahead, Raise the Dead” datato 2009. Lo stile della band è da sempre un concentrato di crust con escursioni verso il grind, anche se mai brutale e piuttosto fedele alle origini punkeggianti.
In realtà il disco non sembra assumere le caratteristiche di un full-length tenendo conto dei suoi sei brani per una durata che supera di poco i venti minuti, ma non soffermiamoci sul lato ‘statistico’ andando a cogliere il senso del discorso intrapreso dalla band in questa nuova uscita.
Un grezzissimo ‘quattro’ del drummer Shrewster dà il via, con le chitarre spianate che partono dritte a mille con riffing e ritmiche d’altri tempi, che si lasciano ascoltare, se non altro che il ritornello in cui Karl ‘The Iron’ Patton invoca il titolo dell’opener “ABV 666” resta facilmente impresso dopo un solo ascolto. Le improvvise accelerazioni rendono il brano accattivante e non troppo scontato. La successiva “Cunts To A Man” è, per tutti i suoi due minuti, un attacco al sistema nervoso, se non altro per il suo andamento monotono, in cui Patton si dimena da buon seguace dei grind-vocalist più affermati. Il sound della band è d’altri tempi e non dispiace la produzione non proprio curata, considerando il genere.
Anche “Fermented Death” è iniettata da un riff portante sul quale la batteria non fa veri e propri miracoli, nonostante la spasmodica voce di ‘The Iron’ sia un vero toccasana per i patiti dell’estremo. I tempi rallentano e il sound si ‘sporca’ in maniera alquanto personale, che chiude in un lancinante feedback con una risata in background. Il basso di McShrubbery ,rinforzato dalla chitarra di Von Stickleback, da vita a “Floormonger”, brano ispirato ai Black Sabbath, non solo per le cadenze ossessive, ma per il riffing e i cambi di tempo che sanciscono forme oscure.
“Last Orders” torna ancora a picchiare sull’acceleratore a mille, ma in maniera quasi scontata, con un ritmo punkeggiante tipico della band, che però non ci esalta particolarmente, così come la conclusiva “Nemesis”, che continua il discorso messo in atto in questo “Barmageddon“, con diversi cambi di tempo, ma ormai già sentiti in precedenza. Il sound è l’arma migliore della band, che dovrebbe concedersi qualche attenzione in più in fase compositiva, nonostante i brani risultino ‘passabili’, ma non da richiedere troppi ascolti.
Vittorio “versus” Sabelli
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